Le Metamorfosi di Ovidio. I, 20-75: La formazione del cosmo
I, 21-75 “La formazione del cosmo
21. Hanc deus et melior lītem nātūra dirēmit;
nam caelō terrās et terrīs abscidit undās
et liquidum spissō secrēvit ab āere caelum;
quae postquam ēvolvit caecōque exēmit acervō,
25. dissociāta locis concordi pāce ligāvit.
Īgnea convexī vīs et sine pondere caelī
ēmicuit summāque locum sibi fēcit in arce;
proximus est āēr illī levitāte locōque,
densior hīs tellūs elementaque grandia traxit
30. et pressa est gravitāte suā; circumfluus ūmor
ultima possedit solidumque coercuit orbem.
Sīc ubi dispositam, quisquis fuit ille deōrum
congeriem secuit sectamque in membra redēgit,
principiō terram, nē nōn aequālis ab omnī
35. parte foret, magnī speciem glomerāvit in orbis;
tum freta diffūdit rapidīsque tumescere ventīs
iussit et ambītae circumdare litora terrae.
Addidit et fontēs et stagna immensa lacūsque
flūminaque obliquīs cinxit dēclīvia rīpīs,
40. quae dīversa locīs partim sorbentur ab ipsā,
in mare perveniunt partim campōque recēpta
līberiōris aquae prō rīpīs lītora pulsant.
Iussit et extendī campōs subsīdere vallēs,
fronde tegī silvās, lapidōsōs surgere montēs;
45. atque duae dextrā caelum totidemque sinistrā
parte secant zonae, quinta est ardentior illīs,
sīc onus inclusum numerō distinxit eōdem
cūra deī, totidemque plagae tellūre premuntur.
Quārum quae media est, nōn est habitābilis aestū;
50. nix tegit alta duās: totidem inter utrumque locāvit
temperiemque dedit mixtā cum frīgore flammā.
Inminet hīs āēr, quī quantō est pondere terrae,
pondere aquae levior, tantō est onerōsior īgnī.
Illīc et nebulās, illīc consistere nūbēs
55. iussit et hūmānās mōtūra tonitrua mentēs
et cum fulminibus facientēs fulgora ventōs.
Hīs quoque non passim mundī fabricātor habendum
āera permisit; vix nunc obsistitur īllis,
cum sua quisque regant dīversō flāmina tractū,
60. quīn lanient mundum: tanta est discordia frātrum.
Eurus ad Aurōram Nabataeaque regna recessit
Persidaque et radiīs iuga subdita mātūtīnis;
vesper et occiduō quae lītora sōle tepescunt
proxima sunt Zephyrō; Schytiam Septemque triōnēs
65. horrifer invāsit Boreās; contrāria tellūs
nūbibus adsiduīs pluviāque madescit ab Austrō.
Haec super inposuit liquidum et gravitāte carentem
aethera nec quicquam terrēnae faecis habentem.
Vix ita līmitibus dissaepserat omnia certīs,
70. cum, quae pressa diū fuerant calīgine caeca,
sīdera coepērunt tōtō effervescere caelō;
nēu regiō foret ulla suīs animālibus orba,
astra tenent caeleste solum formaeque deōrum,
cessērunt nitidīs habitandae piscibus undae,
75. terra ferās cēpit, volucrēs agitābilis āēr.
Traduzione
Un dio, una natura migliore, risolse questo stato di contrasto (ossia la condizione caotica descritta nei versi precedenti); infatti separò le terre dal cielo e le onde dalle terre e divise il cielo terso dall’aria pesante; dopo aver dispiegato e liberato quanto detto dall’oscura massa confusa, mise a posto in una pace armoniosa tutto ciò che prima era dissociato. La forza ignea e senza peso si sprigionò dal cielo arcuato e si fece posto nella sommità della volta celeste; prossima a questa per peso e per luogo c’è l’aria; la terra, più densa di queste, si trascinò i grandi elementi e fu compressa dalla propria gravità; il liquido che scorre intorno possiede l’ultimo posto e cinge il mondo solido.
Quando il dio, chiunque egli fu tra gli dei, divise la massa così riordinata riducendola in parti separate, in primo luogo plasmò la terra nella forma di un grande globo, affinché fosse uguale da ogni parte; poi diffuse i flutti e ordinò loro di gonfiarsi con i venti impetuosi e alle coste di circondare le terre così delimitate. Aggiunse sorgenti, stagni immensi, laghi, e cinse i fiumi che scendono tra sponde sinuose, i quali, a seconda dei luoghi, in parte sono assorbiti dalla stessa terra, in parte giungono al mare e, ricevuti dalla distesa d’acqua piú libera, colpiscono il litorale invece delle sponde. Ordinò alle pianure di estendersi e alle valli di abbassarsi, alle selve di ricoprirsi di foglie e ai monti rocciosi di elevarsi; e come due parti dividono il cielo a destra e altrettante a sinistra, e una quinta parte che è più splendente di loro, così per la cura del dio la massa racchiusa dal cielo si contraddistinse con lo stesso numero di zone che si estendono sulla terra. La zona che sta in mezzo non è abitabile per il calore; la neve alta ne ricopre due: tra queste due dispose lo stesso numero di zone e le assegnò al clima temperato grazie al calore misto con il freddo. Sulle zone sovrasta l’aria, che è tanto più leggera del peso della terra e dell’acqua, quanto è più pesante del fuoco. Ordinò che lì dimorassero le nebbie e lì le nuvole e i tuoni che avrebbero spaventato le menti umane e i venti che generano lampi e fulmini. Il fabbricatore del mondo non concesse ai venti l’illimitato dominio dell’aria; tuttavia ancora oggi a malapena si ottiene che non distruggano il mondo, poiché ognuno regge le sue brezze con una direzione diversa: tanto grande è la discordia fraterna. Euro si è diretto verso l’aurora e i regni nabatei e persiani e le catene montuose esposte ai raggi del mattino; e vespro e le coste che sono scaldate dal sole a ponente sono prossime allo Zefiro; la gelida Borea si è impadronita della Scitia e del settentrione; la terra opposta viene inzuppata continuamente dall’Austro con nuvole e pioggia. Sopra di questi venti impose l’etere, terso e senza peso e senz’alcuna caratteristica terrena.
Non appena ebbe separato ogni cosa con delimitazioni certe, le stelle, che erano state a lungo offuscate nell’oscura nebbia, cominciarono a brillare in tutto il cielo; non ci fu nessuna regione priva dei suoi essere viventi, gli astri e le forme degli dei presidiano il suolo celeste, alle onde toccò essere abitate dai pesci rifulgenti, la terra accolse le fiere, l’aria leggera gli uccelli.
Commento
Come si è formato il meraviglioso mondo intorno a noi, dal Caos iniziale?
LA SEPARAZIONE DEGLI ELEMENTI
Il primo intervento da parte di un dio avviene sull’informe massa oscura del caos. Il poeta non sente la necessità di identificare il dio, ma si concentra su come si sia svolto il processo formativo. Il caos da solo non può generare nulla e per questo si cita “una natura migliore” (melior nātūra) di lui, alludendo alla potenza di un ente che abbia la capacità di ordinare e trasferire le forme alla materia. L’aggettivo “migliore” ci rimanda alla visione gerarchica del neoplatonismo, dove gli enti con più potenza ordinano quelli a potenza minore. La divinità agisce separando le diverse forme dalla massa caotica. Una separazione che non è solo fisica, ma – essendo di natura migliore – è anche mentale, ossia discernimento. Mentalmente noi riusciamo a discernere due oggetti quando riconosciamo in loro due forme differenti. Il discernimento della divinità, a differenza del nostro, è attivo, poiché avviene attribuendo forme differenti alla massa informe, definendo così il mondo percepibile. In un certo modo, l’atto stesso del pensare da parte della divinità è creativo e formativo. La divinità separa i quattro elementi ponendoli in armonia rispetto il contrasto iniziale (dissociāta locis concordi pāce ligāvit). La prima separazione è tra terra, cielo e mare, quindi il cielo stesso viene diviso in due: nella parte superiore si trova ciò che percepiamo come la volta celeste, blu e tersa; nella parte inferiore le nuvole e i fenomeni più densi della bassa atmosfera. In sintesi, si dispiegano i primi tre elementi: aria, terra ed acqua. Da questi si libera verso l’alto l’elemento più leggero del nostro mondo, il fuoco, che non a caso viene utilizzato per bruciare le offerte ed i sacrifici per il suo perenne moto ascendente. I quattro elementi di Empedocle sono quindi i primi a separarsi, come mattoni fondamentali del cosmo. L’attenzione quindi viene riportata verso il basso, dal fuoco all’aria, poi alla terra, che si comprime per la gravità con una immagine quasi moderna, per terminare con l’acqua che cinge ogni cosa con il suo abbraccio, riprendendo il tema dell’Amfitrite ma questa volta in maniera più scientifica in armonia con lo stile della sezione (circumfluus ūmor).
LA FORMAZIONE DEL MONDO
Avvenuta la separazione degli elementi, la divinità ordina (iussit, usato ben tre volte in questa sezione) la forma del mondo. La terra è plasmata come un globo, (terram magnī speciem glomerāvit in orbis) e la divinità dà forma alle valli e alle catene montuose. La descrizione è vivace ed offre immagini degne di un documentario scientifico facendo letteralmente volare la mente sopra le sublimi immagini dei mari, dei fiumi con i loro percorsi sinuosi fino al mare, dei monti che si innalzano e le vallate che si abbassano. L’autore riprende anche i quattro venti della tradizione omerica, adottando il nome latino per il vendo del sud: Borea a nord, Euro ad est, Austro a sud (per i Greci si chiamava Noto) e Zefiro a ovest. A coprire tutta questa sinfonia meravigliosa, l’etere, i quinto elemento introdotto da Aristotele, un elemento così puro da non potersi mescolare con gli altri e quindi destinato a restare fuori dal nostro mondo, lassù, là fuori da qualche parte.
IL COMPLETAMENTO DELL’OPERA
La formazione del mondo è cominciata con toni altamente drammatici e alieni dal caos verso la separazione degli elementi, per trasformarsi gradualmente in un paesaggio selvaggio e finalmente concludersi con le stelle che brillano nella notte oscura (sīdera coepērunt tōtō effervescere caelō), immagine che regala finalmente una pace rassicurante al lettore. Forse a questo verso si ispirò Dante Alighieri, quando all’uscita dell’Inferno scrisse “e quindi uscimmo a riveder le stelle”. L’ordine divino è stabilito, ogni zona del mondo è abitata dai suoi esseri viventi. È bellissimo notare come si attribuisca un luogo per gli dei così come per ogni altro essere animale: gli dei dimorano nello stesso nostro mondo a tutto diritto nel cielo, così come pesci, uccelli e fiere selvatiche trovano il loro luogo nei loro rispettivi ambienti naturali. Un universo presieduto dalla divinità, garante dell’ordine cosmico.
Il mondo dunque era stato plasmato, perfetto nella sua geografia e nelle sue leggi, pronto per accogliere gli esseri umani, ma questa storia la racconteremo nel prossimo articolo.
Mario Basile
(Fori Hadriani scripsit, XVI Kal. Ian. MMDCCLXXI, Saturnalia)