Sembra alquanto strano che non vi sia stato archeologo sino ad oggi che abbia mai confrontato i sesi di Pantelleria con le strutture pre-nuragiche a gradoni e proto-nuragiche della media età del Bronzo. Il ben noto sese di Contrada Mursia a Pantelleria con la sua struttura realizzata in pietra a secco evoca tanto nell’impianto progettuale tanto nella tecnica di realizzazione sia gli altari a gradoni (anch’essi realizzati con pietrame a secco) della Sardegna, come quello di Monte d’Accoddi nel territorio di Sassari (non più utilizzato a partire dell’inizio del II millennio a.C., quando apparve nell’isola la Cultura del vaso campaniforme) sia i proto-nuraghi, come ad esempio quello di Albucciu nel territorio di Arzachena, risalente alla fase finale della Cultura del vaso campaniforme, tra il 1900 ed il 1600 a.C., e coincidente con la facies di Bonnanaro (considerata tra l’altro l’evoluzione finale della suddetta Cultura del bicchiere campaniforme in Sardegna).
I sesi di Pantelleria, indagati e studiati già da Paolo Orsi negli anni ’90 del 1800, e poi dal prematuramente scomparso Sebastiano Tusa cento anni dopo, si presentano infatti come strutture con un impianto ”ibrido”, tra gli altari a gradoni del III millennio a.C. e le strutture proto-nuragiche della prima metà del II millennio a.C. I sesi hanno una base ellittica, avente dunque due diametri, il maggiore fino a 20 m. (o poco più) e quello minore fino a 10 m. (o poco più); un alzato in pietrame a secco formante terrazze tronco-coniche, ovviamente restringendo via via il loro diametro procedendo nel senso dell’altezza, che oltrepassa i 5 m. Il sese di Contrada Mursia, il più grande che si conosca, presenta un’altezza di 5,58 m., con i suoi tre livelli, anche se è probabile che queste strutture potessero svilupparsi su più livelli formando una struttura a piramide di coni tronchi degradanti, raggiungendo dunque altezze maggiori. Si presentano proprio come gli altari a gradoni, ma con le basi ellittiche invece di essere quadrangolari, come fossero tanti nuraghi tozzi in successione e di grandezza decrescente nella loro successione dal basso verso l’alto. Nell’anello basale, ossia il piano della struttura a contatto con il terreno, vi sono diverse entrate, ovvero porte realizzate in blocchi di pietra sormontati da architravi, proprio come nelle strutture proto-nuragiche, le quali, ciascuna attraverso un corridoio, che sviluppa una linea di percorrenza fino a 7 m., conduce ad una camera funeraria di forma circolare che presenta una cupola ogivale (a sesto acuto, come nelle cattedrali gotiche).
Anche i suddetti corridoi terminano con un sistema statico a volta ogivale, proprio come nei corridoi delle tombe a tumulo, delle tombe dolmeniche ed anche dei nuraghi tholoidi più recenti. Queste tombe di Pantelleria risalgono infatti al II millennio a.C. e dunque coincidono con l’epoca proto-nuragica sarda. Giovanni Lilliu (in La civiltà nuragica) sostiene che i costruttori dei proto-nuraghi siano provenienti con molta probabilità dalla penisola iberica (precisamente dalla Catalogna o dal Midi), i quali si sarebbero integrati nella precedente Cultura neolitica di Ozieri, importando costumi tipici di una comunità guerriera e agropastorale, lasciando ovviamente intendere che trattasi del popolo della Cultura del bicchiere campaniforme. Effettivamente sono molti gli studiosi, come ad esempio Manlio Brigaglia e Attilio Mastino (in Storia della Sardegna), a sostenere che le strutture pre-nuragiche presentino delle affinità con le tombe-tumulo della Francia, o il complesso di Los Millares in Andalusia, o ancora con i Talaiots delle Baleari. Ma il problema di questa interpretazione, che naufraga a prima lettura, risiede nel semplice fatto che il complesso di Los Millares è un vero e proprio vicus trincerato tipico della Cultura del bicchiere campaniforme e non una singola struttura destinata al culto, né si presenta come struttura adibita alle sepolture. Inoltre queste altre strutture presentano sempre una forma circolare o ellittica e non quadrangolare. La Cultura di Bonnanaro (1900-1600 a.C.) presenta elementi simili, come i vasi provvisti di anse a gomito, proprio come quelli della coeva Cultura di Polada dell’Italia settentrionale, dimostrando con ciò che la Sardegna e l’Italia settentrionale furono davvero raggiunte dal popolo della Cultura del bicchiere campaniforme di ceppo proto-celtico. Questo popolo infatti fu l’avanguardia proto-celtica verso l’Italia, isole comprese, ovvero Sardegna e Sicilia. Ma proprio quando ebbe inizio la facies di Bonnanaro in Sardegna, nella Nurra e nel Sulcis-Iglesiente, propagandosi poi in tutta l’isola, gli altari pre-nuragici furono abbandonati. La facies proto-nuragica ebbe inizio e coincise con la Cultura di Bonnanaro, e quest’ultima finì quando comparirono i primi nuraghi tholoidi, ovvero i veri e propri nuraghi che si ergono a forma di alte e strette torri, essendo questi ultimi un’evoluzione o miglioramento progettuale/strutturale dei primi. Questi proto-nuraghi sono comunque lo stadio iniziale dei secondi, presentandosi con una planimetria piuttosto irregolare, ma tondeggiante, ed un alzato tozzo, alti mediamente 10 m., e privi dunque della camera circolare che caratterizza i nuraghi veri e propri alti anche oltre 20 m.
Il popolo della Cultura del bicchiere campaniforme, essendo diffuso nella penisola iberica, può essere considerato ”iberico”, ma è da escludere totalmente che fosse di ceppo ibero: patria e nazionalità assumono a volte, come ben si vede, valori semantici molto differenti. Con molta probabilità, l’isola di Pantelleria divenne un rifugio sicuro per questo antichissimo popolo indoeuropeo della Cultura proto-nuragica, mai raggiunto dal popolo proto-celtico, il quale invece riuscì ad approdare in Sicilia, popolando il versante occidentale e diffondendo il noto bicchiere a campana, le tombe a cista litica e le strutture megalitiche come i noti dolmen. Il popolo della Cultura del bicchiere campaniforme sarebbe giunto in Sicilia seguendo le rotte di questi preistorici fuggitivi sardi.
Il Sese, dunque, è una tomba monumentale, atta al ricordo ed al cerimoniale relativo al culto degli antenati (capi gentilizi e loro stretti congiunti, epigoni della linea genealogica), presentantesi non come ”megalite”, così come erroneamente esposto da molti odierni studiosi, con quella (impossibile) associazione ai dolmen, ma come struttura che si erge su tessitura muraria a secco, nella tradizione tipica sarda dal Neolitico sino alla tarda età del Bronzo, dal tempo pre-nuragico degli imponenti altari con funzione cultuale su istruzioni astronomiche, passando per la fase proto-nuragica, ed infine giungendo alla complessità ardita dell’alto nuraghe della media e tarda età del Bronzo.
A reggere questo confronto pare ci siano altri elementi, qualcosa che sfugge ai più, sebbene si manifesti ancora oggi. Trattasi della presenza a Pantelleria del noto ”giardino pantesco”, qui esclusivo, la cui forma circolare ricorda proprio un nuraghe di piccole dimensioni, ma a rovescio, con il suo alzato in pietrame lavico a secco su base sempre circolare, a protezione di piccoli alberi da frutto (soprattutto agrumi); di forma tronco-conica, leggermente più largo di diametro verso la sua sommità (all’inverso del nuraghe sardo), quasi fosse un vaso per la pianta ospitata, in modo che essa sia protetta dai venti forti che percuotono l’isola, ed in modo che l’umidità portata dalle brezze notturne possa accumularsi nella sommità della struttura e scendere dolcemente sul terreno a nutrire la pianta, alla quale il coltivatore fa visita attraverso una piccola porta arcuata.
L’altezza di queste strutture si aggira da 1 m. fino a 3 m., in base alla specie ivi coltivata; e la cinta muraria termina con delle piccole bocche che servono al deflusso delle acque meteoriche. L’unicità della struttura, tipica della sola isola di Pantelleria, con la sua specifica funzione di creare un micro-clima salubre, ricorda veramente un piccolo nuraghe ”a rovescio”.
Ma vi è dell’altro: l’unica specie di serpente presente nell’isola è il colubro sardo.
Il colubro detto ”ferro di cavallo” come sarebbe ivi arrivato? Perché?
Sarebbero stati i Fenici durante i loro viaggi e soste? No, perché ed a che scopo? Il colubro si sarebbe ”imbarcato” da solo nelle navi puniche? Ciò è da escludere.
E se il popolo dei Sesi lo avesse portato con sé per determinati motivi, cultuali ad esempio?
Il serpente che rappresenta gli antenati, i Lares. Certo, perché no.
Inoltre il serpente equilibra il ciclo biologico, fermando la prolificità dei roditori che sono dannosi ai raccolti e alle case, alle necessità importanti dell’uomo.
Forme e funzioni riportano quindi ancora una volta alla Sardegna, alla terra del popolo dei proto-nuraghi.
Alessandro Daudeferd Bonfanti