A fuoco gli affreschi romani, ma la terra restituisce ori e l’acqua navi e templi

l'affresco pompeiano del Tempio di Iside distrutto a Rio de Janeiro
L’affresco pompeiano del Tempio di Iside distrutto a Rio de Janeiro

Sensazionali rinvenimenti romani hanno fatto da contraltare al disastro del Museo Nazionale di Rio de Janeiro, dove sono andate a fuoco alcune nostre memorie patrie di grande valore.

Il rogo che ha divorato il museo brasiliano ha, infatti, colpito anche la Romanità e, segnatamente, la città di Pompei: affreschi originali del primo secolo avanti l’era comune sono stati distrutti dalle fiamme. Uno raffigura(va) due pavoni appollaiati su candelabri stilizzati e altri due cavallucci marini, un drago e delfini: provenivano dal tempio di Iside –  uno degli edifici meglio conservati e più visitati della città romana, tanto da ispirare “Il flauto magico” di Mozart.

Cratere a calice ditrutto a Rio
Cratere a calice perduto nel mueso brasiliano

Non solo, insieme agli affreschi, nel disastro del 3 settembre scorso, sono stati distrutti vasi, ceramiche, anfore, bronzi e marmi romani (e greci) – in tutto oltre 700 pezzi –  che provenivano dal museo Borbonico di Napoli. Quasi due secoli fa erano stati portati in Sudamerica, come dote (sic), da Teresa Cristina delle Due Sicilie (1822 – 1889), figlia di Francesco I di Borbone e imperatrice consorte di Pietro II del Brasile. Da dote nunziale, i pezzi d’arte romana passarono poi al patrimonio della repubblica brasiliana.

Alla conta dei danni mancano invece notizie sulla collezione di monete, sempre romane, che Marici Martins Magalhaesh, ricercatrice del museo nonché profonda conoscitrice dell’Italia, stava catalogando in situ da anni (alle perdite “italiane” del museo di Rio va anche aggiunta la collezione di tele ottocentesche del pittore marinista Eduardo de Martino).

I resti del Museo di rio dopo l'incendio devastante del 3 settembre 2018
I resti del Museo di Rio dopo l’incendio

Passano due giorni dal disastro brasiliano e a Como accade l’impensabile: in un cantiere di ristrutturazione dell’ex teatro Cressoni, in via Diaz, poco lontano dall’area del foro di Novum Comum, viene scoperto il più grande tesoro di monete imperiali romane d’oro mai rinvenuto prima d’ora in Italia: esattamente mille solidi d’oro (da 4,5 grammi l’uno) di valore inestimabile (solo di peso valgono 150 mila euro) coniati sotto gli imperatori Onorio, Arcadio, Teodosio, Valentiniano III, Maggioriano, Libio Severo, Antemio e Leone I, sino all’anno 474 dell’era comune.

E’ qualcosa di epocale e segna il percorso della storia – ha detto il ministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli nella conferenza stampa del ritrovamento – non siamo ancora in grado di capirlo, ma è un messaggio che ci arriva dai nostri antenati”. Le monete erano contenute in un vaso ansato, non di terracotta ma di pietra ollare, proveniente dalle Alpi centrali.

Il ritrovamento è avvenuto su un terreno privato – ha illustrato Barbara Grassi, responsabile dell’archeologia della Sovrintendenza di Milano – dove un’azienda stava costruendo residenze: una volta cominciati gli scavi però è intervenuta la Sovrintendenza procedendo alla stratificazione. La scoperta è stata un colpo di fortuna – ha aggiunto – ma il sospetto che sotto il terreno e uno strato d’acqua ci potesse essere qualcosa era stato calcolato: il giorno prima del ritrovamento avevo chiesto di indagare la zona perché pensavo che ci potessero essere dei reperti, e così è stato”.

Le monete romane rinvenute a Como
Le monete romane rinvenute a Como

“Le ricerche sul sito proseguivano da molto tempo – ha spiegato il Sovrintendente della Lombardia, Luca Rinaldi – e si concentravano sui resti di un monastero del ‘300. Questo sorgeva su un precedente edificio di epoca romana, come rivelano le epigrafi che sono spuntate a fianco all’anfora oggetto dell’incredibile scoperta: dalle prime ipotesi non si tratterebbe di pietre funerarie, ma riconducibili a edifici pubblici.

Il vaso ansato col tesoro di Como
Il vaso col tesoro di Como

Il ‘tesoro degli imperatori’ conserva anche un frammento di barretta d’oro, tre orecchini e tre anelli con castone il che, unito al numero esatto di mille pezzi, avvalora l’ipotesi di un deposito pubblico visto che l’oro, in questa forma e copiosità, era in mano solo alle casse dello stato.

L’unico ritrovamento numismatico paragonabile a quello di Como risale al 2004 quando, durante lavori di recupero e risanamento dell’antica chiesetta di San Mamiliano in Sovana, frazione del comune si Sorano (Grosseto), erano state disseppellite 498 monete imperiali dell’epoca che va da Onorio a Romolo Augustolo; la quantità e qualità dei conii d’oro del tesoro di Como, tuttavia, è molto superiore. La Soprintendenza sta comunque lavorando su più fronti per consentire di presentare il tesoro al pubblico in tempi ragionevoli, anche in collaborazione con il comune di Como e il museo archeologico ‘Paolo Giovio’. La collocazione definitiva, invece, andrà valutata con cura perchè occorrono standard di sicurezza altissimi e perchè il patrimonio appartiene allo stato italiano.

Così a Como, mentre sotto il suolo di Colonia, in Germania, hanno scoperto un’antica biblioteca romana che una volta conteneva fino a 20.000 testi. Tuttavia, non hanno capito subito che la struttura era una biblioteca finché non hanno trovato buchi misteriosi nei muri, ognuno dei quali misurava 80 per 50 centimetri, ha riferito The Guardian.

La biblioteca romana di Colonia
La biblioteca romana di Colonia

Le nicchie nel muro erano probabilmente “armadi per le pergamene – ha detto Dirk Schmitz, archeologo del Museo romano-germanico di Colonia – così come si possono vedere  nella biblioteca di Efeso. La nuova biblioteca è, come minimo, la prima biblioteca in Germania, e forse nelle province romane nord-occidentali”.

Il rostro della quinquireme romana ripescato a Levanzo
Il rostro della quinquireme romana di Levanzo

Dalla terra all’acqua di Sicilia, dove continuano i ripescaggi di armi romane nei fondali dell’isola di Levanzo davanti a Trapani. A ottantacinque metri di profondità sono stati, infatti, rinvenuti numerosi, micidiali, rostri da guerra che venivano montati sulla prora delle imbarcazioni per speronare le navi nemiche: risalgono alla decisiva (per la prima guerra punica) battaglia delle Egadi. Lo scontro epocale, avvenuto il 10 marzo 241 avanti l’era comune, vide opporsi la flotta cartaginese di circa 120 navi a 300 legni romani, con la vittoria di questi ultimi.

Le ricerche archeologiche, frutto della collaborazione tra la Soprintendenza regionale del Mare e la statunitense Rpm Nautical Foundation, erano iniziate da tempo e hanno consentito sino a oggi il recupero di undici rostri romani, due rostri cartaginesi e ben ventuno elmi romani del tipo Montefortino, oltre a un grande numero di anfore e dotazioni di bordo.

Il rostro romano ritrovato appena issato a bordo
Un rostro romano appena issato a bordo

“Dei tre nuovi rostri individuati in questi giorni – ha detto il Soprintendente del Mare Adriana Fresina – uno è di dimensioni più grandi, avvalorando il racconto di Polibio che parla di quinqueremi presenti in battaglia”. Si tratta quindi di un rinvenimento di grande rilievo, che aggiunge dati preziosissimi per la conoscenza di un episodio decisivo nella storia di Roma e del Mediterraneo.

“Questa scoperta – ha aggiunto l’assessore regionale ai Beni culturali Sebastiano Tusa – dimostra la validità dell’intuizione avuta sull’identificazione del luogo della battaglia. Fino agli anni Duemila al mondo erano stati ritrovati solamente due rostri; oggi la Sicilia ne detiene il record mondiale”.

Infine un’antica costruzione sommersa sotto le onde di un lago nasconde un segreto ancora più profondo. Siamo in Turchia e ad appena tre metri di profondità, a 50 metri dalla riva del lago Iznik, si trovano i resti di una basilica romana costruita sulla riva intorno al quarto secolo, quando la città prospiciente e che dà il nome al lago era conosciuta come Nicea.

La basilica sommersa del lago di Nicea
La basilica sommersa del lago di Nicea

Nel 740 un terremoto distrusse la basilica, che in seguito sprofondò in acqua, lasciando le rovine sommerse sino alla riscoperta 1700 anni dopo. Un ritrovamento clamoroso. Secondo quanto riporta l’ultimo numero di Life Science gli esperti pensano che l’antica chiesa romana possa nascondere sotto le sue fondamenta un altro tesoro: un tempio pagano. Il Museo Archeologico di Iznik ha recentemente effettuato nuovi scavi sommersi e ha rinvenuto, oltre all’altare, ornamenti sacri, monete e tombe che risalgono ai regni degli imperatori Valente e Valentiniano II e che dimostrano già che la basilica fu costruita intorno al 303, durante il regno di Diocleziano. Divenuta cristiana, la basilica fu dedicata a San Neofito, “ma le sue fondamenta potrebbero nascondere – sostiene l’archeologo Mustafa Sahin dell’Uludag Universitesi di Bursa – il tempio del Dio Apollo” che esisteva sulla riva del lago intorno al 180 dell’era comune.

Paolo Casolari