Come avvicinarsi alla Pietas romano italica, dove il rito è un sì alla vita

11129792_1La cultura liberale ed individualistica ti dice che la sfera del “religioso” si situa entro quella della libertà individuale (o di gruppo come mera associazione di individui), così che una religione, volendo, la si può rifiutare, mutare, scegliere a piacimento. Il cristianesimo, dal canto suo, ti avverte che è si legittimo abbandonare una religione e sceglierne un’altra, ma quest’altra non può che essere la “vera religione”, cioè il cristianesimo stesso, abbandonare il quale, invece, significa cadere nell’apostasia, quindi nel peccato mortale. Quanto all’Islàm, esso pure accoglie volentieri le conversioni, ma non tollera le “dimissioni”.

Comprenderai, da ciò, che se per il liberalismo le religioni si scelgono (libera scelta è per esso anche quella di accettare, da adulti, la religione entro cui si è nati), è ipocrita l’affermazione che spesso hai sentito ripetere da certi tradizionalisti monoteisti riguardo al fatto che le religioni non si scelgono, giacché la propria religione deve essere quella della famiglia e della nazione entro le quali si ha la ventura di nascere.

Tu sappi che, nell’incontro con la Tradizione nostra, entri in un ordine mentale differente da quello delle credenze e delle ideologie dell’ “era volgare”. Non devi sentirti né un libero compratore nel moderno supermarket dello spirito, né un apostata di una verità rivelata, né un convertito ad una verità più desiderabile. Non stai scegliendo una tradizione, ma sei scelto da questa stessa tradizione. In altre parole, più che un assenso della tua ragione nutrita di buona o cattiva cultura, operano in te, verticalmente e orizzontalmente, il Fato e la memoria del sangue, forze che trascendono il tuo io caduco, posto all’incrocio tra entrambe.

Il peso di un certo tradizionalismo formale si farà sentire in te, vero “mercurio d’opposizione”, spaventandoti. Il battesimo cristiano come aggregazione permanente al corpo psichico della Chiesa, ti sarà da più parti agitato come un vincolo destinato – se vorrai veramente avvicinarti agli Dèi nostri – a trattenerti negativamente, come apostata consegnato per sempre non alla mano della misericordia ma a quella della vendetta divina.

Allora sappi che gli indù considerano virtualmente indù coloro che nascono in India da famiglie indiane, ancorché battezzati. I brahrnani hanno una cerimonia di “sbattezzo” che restituisce alla “Madre India” i suoi figli. Battezzato era anche l’imperatore Giuliano, che tu non chiamerai mai l’Apostata al modo dei cristiani, perché egli sciolse un vincolo nato da una schiavitù spirituale delle nostre menti, romane ed elleniche, verso un dio straniero. Prima di Costantino – ti basti leggere l’epistolario tra Plinio il Giovane e Traiano – un cittadino romano fattosi cristiano ritornava allo status quo ante con una semplice offerta rituale agli Dèi fatta davanti ad un magistrato. Gli dei degni della tua pietas non sono certo stati aboliti con un decreto. Gli Dèi o sono o non sono. Se sono stati, sono ancora, e saranno. Ciò che può venir meno è il nostro rapporto attivo, consapevole, amicale con essi. E’ in tuo potere ricercare questo rapporto, perciò non temere: gli Dèi, a loro volta, ti hanno già lanciato un segnale.

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Nella tua ricerca del sacro, deluso dalla religione dei tuoi genitori e/o intimamente estraneo ad essa, hai finora incontrato chi ti prometteva l’accesso a verità segrete e per pochi, riti esoterici ed esotici, poteri psichici e visioni divine. Se è la pura brama dell’occulto a guidarti, sappi che questa brama la tradizione nostra, che pure ha i suoi arcani, non intende incoraggiarla. La Pietas romano-italica si manifesta in modi sobri e non ti chiede tanto il segreto quanto la riservatezza. I riti necessari sono tutto sommato semplici e la chiave della loro riuscita è la scrupolosità. dell’esecuzione e la purità dell’esecutore, come anche del luogo. Non sono riti «per pochi»: erano i riti di tutta la gente libera di questa nostra terra, un tempo, e nel compierli non ti è richiesto di sentirti un uomo speciale ma un uomo normale; la vera norma è quella che vuole che si agisca Rite, o, direbbe un indù, in modo conforme al Rta, all’ordine cosmico che gli Dèi garantiscono col concorso dei nostri riti. Quanto ai poteri e alle visioni, sappi che il rito nostro conferisce in fondo il potere più nobile: quello di far vivere i singoli e le comunità in pace, in amicizia con gli Dèi. Di questi ultimi, poi, non aspettarti strabilianti visioni conformi alle immagini dell’iconografia classica: nella tradizione nostra tali visioni non sono frequenti. Gli Dèi nostri si manifestano piuttosto con segni; servendosi ognuno di quella parte del mondo naturale a cui presiede: non attenderti, insomma, di vederti innanzi Minerva con l’elmo e con l’asta, ma di sentire improvvisamente, e però nel momento dovuto, il canto di una civetta.

Vi è chi ti dirà, per scoraggiarti, che i riti nostri sono mere ricostruzioni archeologiche e che noi viviamo d’inganni psichici o, addirittura, siamo sciocchi strumenti di potestà diaboliche. Ma tu, se un ri-cordo ti spinge, vieni e vedi: la tua percezione interiore ed esteriore giorno dopo giorno si affina, il mondo ti appare meno solido e più animato, retto da archetipi divini; perfino la tua vita materiale ne trae profitti prima impensabili: gli Dèi ci fanno vivere, i riti sono un sì alla vita. La tradizione nostra, inoltre, ti restituisce dignità e libertà nei confronti del sacro: là dove il cristianesimo ti concede solo la preghiera e la partecipazione passiva al rito sacrificale, qui tu sei il sacerdote di te stesso e della tua famiglia, in piedi al crocevia dei quattro punti cardinali, nel mezzo dell’Axis mundi tra l’Alto e il Basso, fatto pienamente responsabile del rapporto tuo e dei tuoi col divino. Non è la religione dei tuoi genitori, ma quella dei tuoi avi; con essa recuperi la freschezza dell’in illo tempore. Attento, però, se in te non parlano né la voce degli avi né quella degli Dèi, non avvicinarti alla tradizione nostra: qualsiasi altra ti sarà più confacente e di aiuto. L’antica Roma conquistava e ordinava il mondo, non lo convertiva a una religione. A ciascuno i suoi Dèi.

Nell’accostarti alla tradizione nostra, sfuggi ad un’altra seduzione: quella della quantità. “Quanti siete?” chiederai. “Pochi” ti sarà risposto, e probabilmente ne sarai deluso. La cultura in cui vivi ti ha insegnato che le credenze e le idee acquistano dignità e legittimità in base al numero degli aderenti. I Testimoni di Geova, tanto per fare un esempio, sono oggi, per numero, la seconda religione d’Italia. Questo dà certo loro una forza. Ma un’intelligenza acuta e un nobile animo come potrebbero da quella forza trarne positive conclusioni riguardo al valore metafisico, con nato quel che ne consegue, di quella credenza? Una qualsiasi tribù di indios amazzonici ridotti allo spiacevole stato di “specie protetta” ha certamente una consapevolezza del sacro più alta ed autentica di quella in possesso delle migliaia di Testimoni di Geova che bussano alle nostre porte. Allora perché dovresti dunque essere tu – erede di una stirpe a cui un gran numero di schiavi era costretto ad obbedire – schiavo della superstizione del numero come potenza? Altro è il problema che devi porti. Cioè quello di accrescere, col tuo apporto rituale, secondo leggi di aritmetica qualitativa, la forza della tradizione nostra che urge verso il risveglio delle sue indistruttibili potenzialità. Se il numero di coloro che a pieno titolo – ovvero perché tali per la loro Pietas – possono dirsi Romani ed Italici ti sta veramente a cuore, sappi che questo stesso numero si accresce, più che per opera di mera propaganda, per la forza di attrazione generata dalla potenza del rito. Se desideri il numero, dunque, non volerlo alle spalle come garanzia contro le tue paure, ma ponilo virilmente davanti a te come effetto del tuo potere sacerdotale.

Infine, ascolta. Tu vorresti che noi ti offrissimo bella e pronta una romanità imperiale. Ma noi, che non bariamo, ti offriamo la nave di Enea tra i perigli del mare e le seduzioni fenicie, la povertà e l’incertezza del regno di Evandro sul Palatino, Romolo e i suoi compagni prima del solco fatale e, perché no?, prima del ratto delle sabine. In altre parole, la partecipazione al disegno di una minoranza la cui arma vittoriosa, innanzitutto contro se stessi, contro la parte caotica che si agita in ogni uomo, è la Pietas erga Deos. Verso quegli Dèi che ora ti chiamano a renderti degno del nome degli Avi.

L. Aurelio Cusiano

(da La Cittadella n° 45, luglio-settembre 1995)