La Romanità e il Platonismo, la sfida interiore di Casalino alle tenebre

sigillum-scientiaeNon aspettatevi il classico saggio filosofico monografico alla Giandomenico Casalino: condensato, poliedrico e sapientemente raggomitolato nei concetti, da sbrogliare e assaporare a poco a poco, con pazienti riletture (e medio-alte conoscenze). Quest’ultimo libro ha un taglio diverso e più agile. Non per questo il livello si abbassa; grazie infatti al modello editoriale proposto – la raccolta di interventi col medesimo filo conduttore osservato da diverse angolature – il libro riesce nell’intento di offrire un fascio di linee di vetta che pagina dopo pagina si depositano, decantano e si trasformano in un accompagnamento iniziatico del lettore sulla via del risveglio. E anche chi è a digiuno di filosofia può affrontare il cimento: 150 pagine in tutto, che si bevono con il piacere di una birra fresca nell’arsura dell’anima.

Il volume s’intitola Sigillum scientiae – l’essenza vivente ed ermetica della Romanità e il Platonismo (pubblicato per i tipi di Arcana, con l’introduzione di Luca Valentini) ed è tripartito in proemio, una corposa prima parte e una breve seconda parte a chiudere. Si svolge tutto in un crescendo di squarci sulla Tradizione indoeuropea, sul disastro della Modernità e sulla via da seguire, una weltanschauung, per uscire dalla secche dell’odierno deserto spirituale e per ritrovare, nei fondamenti, anche reconditi, della Romanità e del Platonismo, un rinnovato senso dell’esistenza e dell’agire.

Già nel Proemio si intende il tono del saggio. Nel capitolo sulla Visione spirituale e l’Ideologia moderna l’Autore delinea senza mezze parole la cifra di Chi Siamo e la cifra dell’Altro, leggi l’abisso progressivo in cui siamo precipitati a partire dal Protestantesimo sino all’odierno Gendersimo dell’indistinto sessual-genetico, passando per la Rivoluzione francese, il Bolscevismo e il Globalismo. Ma è nel successivo Bando che si delinea il peso della sfida che ci attende: se le tenebre avanzano la strada è la consapevolezza, la tensione sempre alta e ferma, nonché la battaglia, anche in solitudine, nella costruzione di limes quotidiani, nella consapevolezza che l’infezione settaria instillata del nostro mondo è l’arma più sottile in mano al nemico.

Poi, ecco aprirsi l‘orizzonte del pensiero: tutta la Prima parte del saggio è dedicata a tracciare l’affresco di chi siamo noi, ovvero la Tradizione classica e la Filosofia platonica. Perché la filosofia nasce in Grecia, perché il diritto nasce a Roma, cosa significa visione asiatica, deserto, talassocrazia e come mai questi concetti sono applicabili oggi per leggere la contemporaneità. Così Casalino delinea, con poche ma essenziali pennellate, la spiritualità indoeuropea, il significato del rito, di libertà ed equilibrio, la concezione organica della comunità e le Radici spirituali dell’Europa. Particolarmente illuminante il capitoletto che segue sull’Epifania di Roma dove l’Autore ha l’intuizione, per primo nel suo campo, di chiarire compiutamente la scaturigine di quella che è l’essenza dell’Urbe: il concetto di Pubblico (da cui poi il Diritto tout court e la Res Pubblica come prima forma del politico e di bilanciamento dei poteri). Ebbene Casalino lo spiega con la rivoluzionaria, per allora, doppia inversione del significato di “privato” e di “pro-fano” – ancor oggi incompresa dai più, ma straordinaria nella sua semplicità – che l’irruzione di Roma impose al mondo, capovolgendo il corso della storia. Una rivoluzione che oggi, incredibilmente, si ripropone di nuovo, ma parimenti invertita di 180 gradi nei suoi fondamenti (e che qui non anticipo per non togliere il gusto della lettura).

Il testo procede con due approfondimenti di sapore esoterico sulla Natura della Romanità – la via eroica al sacro e l’ascesi dell’azione – e l’Origine della Romanità, sull’oggettivismo ermetico del jus e del rito, che accendono i riflettori sul significato dell’agire nella storia, del plasmare la storia e del “voluto come dato”, passaggi necessari per capire lo spirito degli Antenati e le ragioni della mancanza di miti a Roma. Si passa poi a Platone, al suo Alcibiade Maggiore che ci racconta perché tutto si risolve nell’anima e al Timeo che, riletto oggi alla luce della fisica dei quanti, consente addirittura di balenare l’identificazione dei campi gravitazionali con la Chora, con tutte le conseguenze – invalidanti – che ne derivano per le scienze sperimentali. Dopo una digressione di nuovo esoterica su Kremmerz e il mistero di Roma, è la volta di un altro caposaldo per capire la Romanità: la differenza tra sacer e sanctus, ovvero cosa comporta affrontare “le forze nude e pure” fuori dalla quotidianità del rito, che invece consente il loro riconoscimento e l’identificazione. Qui in Casalino esce il fine giurista: Sacer  è un campo delimitato, inviolabile, sotto al protezione degli Dei (mons sacer); sanctus è il perimetro che questo campo circoscrive (murus sanctus), reso tale e ordinato dalla parola e dal gesto. Per questo Remo è ucciso da Romolo, punizione molto più grave rispetto a quella che colpiva i violatori di luoghi sacri, che erano consacrati agli Dei inferi e banditi dalla comunità. Tutto ciò – scrive l’Autore – spazza via lo sciocchezzaio moderno sull’ambivalenza del sacro, essendo quest’ultimo una dimensione invisibile, ma reale e al massimo grado di potenza, del mondo. E lo conferma tra le righe, aggiungiamo noi, anche il grande Virgilio, quando nell’Eneide descrive la fine di Turno, ucciso sì da Enea ma per aver perso di colpo le forze a causa del suo contatto irrituale col divino, rappresentato dal cippo votato a Terminus, imprudentemente svellato.

Tornando ai capitoli, non poteva mancare il riferimento a Evola e alla quaestio della scelta delle Tradizioni, che Casalino ricorda non essere nostra ma del demone avuto in sorte, il quale ha già scelto ciò che dobbiamo fare e come operare per ricordare il divino che è in noi. La scelta delle Tradizioni è quindi la scelta del Dio che sceglie se stesso. Casalino sottolinea come Evola identifichi tre strade tradizionali per restaurare la regalità divina: la via ultrasecca/ascesi dell’azione/via romana al sacro, la via secca/ascesi della contemplazione/via platonico ermetica al sacro, la via umida/estasi passiva/via egualitaria al sacro, che anticipa già l’approccio cristiano. Una via quest’ultima, femminile, lunare, mediterraneo-orientale, ben rappresentata in antico dal Pitagorismo, che tanta fortuna conobbe con la sua caratteristica di matematizzare il mondo e condurre ad una religiosità fredda e lunare, propria delle gradi civiltà semitiche (Caldei, Babilonesi, Ebrei e Arabi) e in decisa opposizione alla luminosa spiritualità indoeuropea.

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Uno spartiacque primario, dunque, che l’Autore ritrova nella qualificazione dei misteri da parte di Aristotele: ouk mathein, allà pathein. Dove mathema, la Conoscenza, è Occidente ed Europa, Roma e Apollo, pathema, l’emozione, è la psiche, l’acosmico giudaico-cristiano, la fede, la passione senza conoscenza. E’ nel pathein che Casalino individua, e spiega, il nucleo fondante dell’attuale concezione materialistica e dell’economicismo indifferenziato della modernità. Sempre con l’obiettivo di illuminare sulla interpretazione (e la dimensione) dell’attuale sfida, l’Autore affronta poi il trema dell’inesistenza dell’attuale dualismo anima/corpo nella concezione indoeuropea e parimenti della potenza che questa unitarietà esprime. E accompagna il lettore a scoprilo, motivando sul perché i greci non conoscessero la parola “materia” o la parola “corpo”, ma solo quella di cadavere (soma) e perché i romani non edificassero necropoli, ma città per i vivi.

Prosegue ancora Casalino aiutandoci a comprendere la radicale differenza tra le due modalità principali di pensiero, più volte ricordate, presenti anche in Hegel e Guenon: il primo con la visione indoeuropea, il secondo con quella acosmica e asiatica. L’autore qui torna con un suo cavallo di battaglia, battendosi per una interpretazione (ancora minoritaria nella critica) di Hegel come platonico. Per Casalino, infatti, Hegel sa che la verità è la realtà dell’atto in cui essenza coincide con l’esistenza, che è il risultato dell’apparire come nella sapienza greca. Nella spiritualità indoeuropea la polarità è rappresentata sia dal visibile, sia dall’invisibile, che sono manifesti da sé. Per Guenon, invece, il Vero è il non manifesto, il mondo è apparenza, zero: da qui la fede dualista e l’impotenza dell’Intelletto a conoscere l’Assoluto. L’origine di tale visione proviene dall’Oriente, ma è all’origine del dualismo moderno che ci cela la possibilità del “risveglio”. Da qui la successiva confutazione della tesi sull’immortalità dell’anima, intesa come semplice sopravvivenza personale dell’anima: nella visione indoeuropea il soggetto come individuo non è pensato e ciò che è eterno in esso ha a che fare con l’oggettività dello spirito, che è  riflesso del principio divino, mentre è con Agostino che nasce l’io moderno come soggetto singolo, Ego, anticipando Cartesio e il soggettivismo moderno.

Ma chi è dunque l’uomo indoeuropeo al quale rifarsi? Lo spiega l’Autore nell’ultimo capitolo della prima parte. Oggi l’uomo, dopo aver conquistato la libertà, ha perduto la universalità della coscienza e la stessa si è ridotta al piccolo io che crede di decidere e, convinto di essere autonomo, guarda con sufficienza all’Uomo Omerico/Vedico/Romano che (si) considera schiavo degli Dei. Ma è proprio quest’ultimo che è l’Uomo Cosmico, aperto al mondo, serenamente consapevole della sua essenza divina, lungi dal sentirsi schiavo, possiede la convinzione ferma di essere un tutt’uno con l’Universo, Uomo di Luce che considera Spes, Fides, Felicitas e Concordia potenze spirituali e non solo sentimenti e non necessita di iniziazioni e misteri. E’ quindi l’inganno catastrofico della Modernità che impedisce di vedere tutto questo e che ci fa credere che l’Idea del Mondo provenga da “fuori”.

E arriviamo alla conclusione del libtro, che l’Autore chiama Seconda parte: Sigillum sceintiae. Siamo alle chiavi di volta, di natura religiosa ed ermetica, per superare la Modernità. Roma e Platone. Casalino qui evidenzia, come ha già fatto nel suo dirompente “Il Nome segreto di Roma”, la dimensione profonda dell’Opera eroica romana (ermeticamente intesa), raffrontando analogicamente la dottrina alchemica descritta nella spirale di Stefanio con la metastoria di Roma e del suo mito, costruito da uomini, templi e leggi realizzati per mezzo della Virtus necessitante del rito. Un veduta che corrisponde all’insegnamento di Plotino, degli Stoici e, soprattutto, di Platone, il cui insegnamento è veramente di natura magico sacrale. L’idea, per il fondatore dell’Accademia, non è frutto del pensiero ma Ente eterno più vero e concreto di ciò che crediamo di conoscere coi sensi. Non differente è il Sapere indoeuropeo dell’Intero, che è il Vero. Sapere che riappare nella corrispondenza ermetica Astri/Numi/Metalli, sia nel macrocosmo sia nel microcosmo. Pertanto per l’Autore il platonismo, realizzato nella Res Publica Romana, è l’unica scienza sacra di tutte le civiltà che lo rende centrale per il destino della Civiltà europea e di stringente “modernità” se pensiamo all’analogia tra il suo momento storico e quello attuale e la somiglianza tra la crisi spirituale dell’uomo greco, cui Platone di rivolgeva, e quella di oggi.

Ecco dunque: abbeverarsi alla fonte di Mnemosine, non bagnarsi nel Lete, sono i fondamenti che Casalino, nel suo solito stile estremo e definitivo, ci consegna con questo suo saggio regalandoci l’avvertenza che soltanto il faticoso cammino nei sentieri dell’anima può farci ri-cordare l’Apollo che c’è in noi e permetterci l’uscita dalla caverna in cui siamo, inconsapevolmente, confinati.

Paolo Casolari