Ritrovare gli Dei. Facciamo nostro l’auspicio di Sgarbi a ricostruire il Tempio

“Occorre ritrovare gli Dei”.

Così Vittorio Sgarbi, mercoledì 6 settembre scorso nella rubrica che cura sul Il Resto del Carlino (Sgarbi vs capre), invocando la ricostruzione in Sicilia del Tempio G di Selinunte (Trapani).

Un’affermazione, questa del noto critico d’arte, inattesa e che a prima vista potrebbe anche sembrare una battuta. Ma che è più corroborata di quanto appaia se si pensa al progetto politico del noto critico d’arte, “Rinascimento – Innalziamo gli Italiani alla Bellezza”: se il bello avvicina al buono, e al vero, e all’eterno, come afferma Platone, dev’esserci sicuramente qualcosa di più nell’auspicio a ritrovare gli Dei. E questo, poi, non può che incuriosire e ben impressionare noi del Movimento Tradizionale Romano.

Sgarbi e gli Dei

In attesa di approfondire, ripercorriamo per un attimo la vicenda del  Tempio G di Selinunte dedicato a Zeus.

Il Tempio era un periptero octastilo la cui costruzione iniziò intorno  al 530 a.e.v.. Una volta completato si affermò come uno dei più grandi templi dell’antichità. Oggi è completamente distrutto (da un terremoto) ed è ridotto ad un cumulo di pietre e capitelli; non rimane in piedi che un’unica colonna (restaurata nel 1832) chiamata fuso della vecchia.

Il dibattito sulla sua ricostruzione è vecchio di decenni. Già negli anni ’70: l’ Università di Palermo bocciò l’idea e giudicò nuovi vandali i sostenitori della ricostruzione del tempio. Fu però il governatore della regione Raffaele Lombardo ad avviare a suo tempo un progetto ricostruttivo “filologico” col supporto scientifico del noto storico e scrittore Valerio Massimo Manfredi: Manfredi, insieme al Prof. Mainetti e a Mario Luni, avviò anche uno studio di fattibilità.

Contro il progetto si schierarono subito “illustri” archeologi e studiosi: Salvatore Settis, Nicola Bonacasa, Antonino Di Vita, Nunzio Allegro e Dieter Mertens. Le regioni dei detrattori, sintetizzate dall’archeologa trapanese Valentina Colli, afferiscono all’idea che il tempio greco “costituisca un miracolo costruttivo per concezione, per la perfezione della resa dei suoi elementi costruttivi rigorosamente definiti che lo compongono e ne determinano l’ altissimo valore plastico” Tutti i pezzi, scrive la Colli, venivano rifiniti, levigati, scanalati in opera fino ad ottenere la perfetta e sottilissima coesione delle forme attraverso l’ opera accuratissima di maestri lapicidi, con l’ esito di un autentico atto creativo  tanto da farlo definire “kalòs erga”. E’chiaro che oggi non potrebbe mai essere così.

E, naturalmente, non se n’è fatto nulla.

Parimenti sostenibili, però, sono le ragioni di Sgarbi, Manfredi ed altri per una ricostruzione filologica.

Il Tempio G di Selinunte, ipotesi ricostruttiva
Il Tempio G di Selinunte, simulazione ricostruttiva

Senza quindi entrare in polemica coi “dotti, medici e sapienti”, ci basti ricordare che, secondo i criteri a contrariis sin qui accennati, mai nessuna delle antiche chiese che costellano l’Italia si sarebbe potuta edificare, atteso che sono quasi tutte erette su templi antichi.

Vengono piuttosto alla memoria le cronache di Paolo Sarpi al Concilio di Trento quando affermava che la cifra costante dell’agire politico italiano è la sistematica demolizione dell’azione innovatrice condotta attraverso la capillare dimostrazione della sua pratica impossibilità e dei gravi danni che ne deriverebbero.

Forza Sgarbi, la Sicilia, che fu Magna, è il luogo ideale per riannodare (religare, da cui religio) il filo coi nostri numi, avviando una ricostruzione in nomine deorum.

Paolo Casolari