Qualche tempo fa durante lo scavo archeologico per la realizzazione della stazione di Amba Aradam della linea C della metropolitana di Roma sono stati rinvenuti esempi di sepoltura di fulmini. Entrambi sono databili al I secolo, dice la Soprintendenza speciale di Roma, contenevano macerie di edifici e una piccola lastra di marmo con l’iscrizione Fulgur conditum in un caso e Fulgor conditum nell’altro.
A spiegare cosa sia la sepoltura del fulmine è l’archeologa della Soprintendenza Speciale, Simona Morretta: “A Roma e nel mondo antico, i fulmini sono segni degli dei. La comunità dei cittadini incarica l’interprete dei fulmini (aruspex fulguratior) di studiare il fulmine, interpretarlo (poteva essere un segnale positivo o negativo) e indicare la forma di espiazione (expiatio) per placare le divinità”.
La disciplina di cui l’aruspice dei fulmini doveva essere esperto prevedeva innumerevoli casi diversi. Le caratteristiche del fulmine da tenere in considerazione erano il colore, la forma, il punto cardinale di provenienza, l’ora dell’evento (diurna o notturna), variamente combinate fra loro, tutte descritte dettagliatamente nei perduti libri fulgurales etruschi, di cui restano alcuni brani riportati da scrittori romani (in particolare Seneca).
“Quando un fulmine colpisce qualcosa sulla terra, campo, casa, statua o altro – prosegue l’archeologa – gli Etruschi e poi i Romani decidono che quel qualcosa debba essere sepolto, quasi a seppellire il fulmine stesso, e chiamano infatti quel luogo fulgur conditum, cioè fulmine sepolto”.
La sepoltura consisteva in una fossa riempita con gli oggetti colpiti dalla folgore, che doveva rimanere a cielo aperto, con una iscrizione che ne indicasse il contenuto.
Il rituale era complesso e presieduto dal pontefice massimo, la più alta carica religiosa.
La nuova scoperta arriva qualche anno dopo dal rinvenimento, nei citati scavi della metro C, della domus del comandante della caserma, già scavata 2016.
Si tratta di un ambiente decorato da mosaici e pitture, risalente, come tutto il complesso al II secolo posto a 12 metri di profondità, a una quota più bassa di circa 3 metri cioè rispetto al resto della caserma.
L’ala est si configura come un edificio rettangolare di circa 300 metri quadrati: vi si accede da un’ampia area all’aperto, per mezzo di gradini che immettono in un corridoio con pavimento in opus spicatum (mattoncini disposti a spina di pesce).
Nell’area si trovano 14 ambienti, che si dispongono attorno ad un cortile centrale con fontana e vasche.
I pavimenti sono di buona fattura in opus sectile a quadrati di marmo bianco e ardesia grigia, a mosaico o in cocciopesto, mentre le pareti sono decorate con intonaci dipinti o bianchi.
Uno degli ambienti doveva essere riscaldato, vista la presenza di suspensurae, pile di mattoni che formavano un’intercapedine al di sotto del pavimento per il passaggio di aria calda.
L’ala ovest era un’area di servizio, con pavimenti in opera spicata, vasche e sottostanti complesse canalizzazioni idriche, che probabilmente accoglieva merci da stoccare.
La metro C, fin dalla sua prima stazione a Pantano, nei pressi dell’antica città di Gabii, si è dimostrata uno strabiliante cantiere archeologico.
Si sono susseguite scoperte di grande rilievo, tra le più importanti effettuate a Roma in questi anni, che culminano con il ritrovamento di questi ambienti pavimentati a mosaici, con pareti e soffitti affrescati.
Le indagini archeologiche nella stazione Amba Aradam iniziate a novembre 2015 sono tuttora in corso.
Nel 2016 la Soprintendenza ha presentato il ritrovamento dell’edificio militare con corridoio centrale e stanzette affrontate, destinato ad alloggio dei soldati.
Le novità aggiungono nuovi elementi di conoscenza del complesso.
L’importanza della scoperta si deve alla complessità e allo stato di conservazione dei castra nonché alla loro posizione, che integra la cintura di edifici militari rinvenuta tra Laterano e Celio, vero e proprio quartiere militare, di età imperiale.