Per gentile concessione dell’Autore, professor Michele Santulli, pubblichiamo questa approfondita panoramica sulle depredazioni del patrimonio artistico-archeologico italiano nel ‘700 e nell’800, avvenuto a tutto vantaggio di grandi musei stranieri (Louvre e British Museum prima di tutti) e di facoltosi privati, dove naturalmente la parte del leone è rappresentata dalle testimonianze della Romanità
Un volume non sarebbe sufficiente non ad elencare ma solamente a citare gli episodi e le cronache che costituiscono il grande saccheggio di opere d’arte: la visita ad un qualsiasi museo transalpino ad un certo momento porta a chiedersi: quante opere italiane! Come possibile? Dove sono i controlli? La vera e propria depredazione e spoliazione dei beni artistici italiani, principalmente e soprattutto degli archeologici, è una realtà che non si immagina nelle sue cifre e nei suoi traffici: qualche milione di pezzi, senza tema di esagerare, miliardi di valore!
Pochi anni addietro in Svizzera, noto centro di smistamento di arte antica italiana, furono scoperti alcuni operatori che disponevano di decine di depositi colmi di oggetti di scavo italiani importati clandestinamente!
A fondamento e alla base di tale commercio artistico, a parte il profitto, vi è il gusto estetico, il godimento del compratore a possedere certi oggetti per suo piacere, la molla autentica essendo sempre il proprio appagamento: le altre motivazioni che pur si contano, quali speculazione, investimento e analoghi o anche la provenienza, sono marginali rispetto all’amore per l’arte. Altra spinta all’interesse sempre vivo è la continua ricerca di oggetti particolari da parte di musei e gallerie.
Il furto delle opere d’arte è una piaga in tutte le antiche civiltà: in Egitto, in Cina, in India, nel Vicino Oriente, in Grecia…; in Italia certamente molto più che altrove a seguito della sua ricchezza e soprattutto del lungo periodo di circa duemilacinquecento anni e a seguito della varietà e tipicità degli oggetti: in effetti nessuna civiltà evidenzia tale ricchezza e tale varietà: l’Italia, malgrado tale terribile situazione, è ancora tutto un museo, a cielo aperto e sottoterra, una ricchezza smisurata ed eccezionale, anche di enorme valore commerciale, in molta parte già dilapidata, alla presenza di scarsa, quasi irrilevante, attenzione da parte delle istituzioni e quindi valorizzazione e cura: incredibile che possa sembrare, non si legge mai, per esempio, la notizia che qualcuno di quei tombaroli o trafficanti o ladri, presi sul fatto, sia andato in prigione!
E quindi avviene che visitando le gallerie e i musei del pianeta ci si rende conto che in gran parte di essi la presenza di opere italiane è quasi sempre predominante: quadri antichi, sculture medievali e rinascimentali, archeologia, oggetti etruschi, oggetti di arredamento e tanto altro… Senza citare le collezioni private, ancora più numerose.
Per tornare ai secoli passati – a parte gli oggetti acquistati dai collezionisti reali stessi come Francesco I di Francia, Carlo I e Carlo II di Inghilterra, Caterina di Russia e da tanti altri privati amatori – parallelamente ha avuto luogo un’autentica spoliazione, fuori di qualsivoglia controllo.
I più avidi compratori furono gli Inglesi, nel 1700 i padroni del pianeta, ai quali fondamentalmente interessava l’oggetto e non la provenienza o altro.
Entrando per esempio nel British Museum di Londra, attivo già dal 1753, si riesce ad avere una idea della immensa ricchezza accumulata e di quella italiana in special modo: migliaia di pezzi!
Accadeva in occasione del famoso Grand Tour, cioè del movimento turistico e culturale che contrassegnò l’Europa nel corso del 1700 del quale la meta privilegiata e ricercata era l’Italia: basti pensare che a quest’epoca a Roma i ricchi turisti inglesi rinvennero una vera e propria organizzazione commerciale intesa a reperire e a commercializzare opere d’arte soprattutto archeologiche.
Si immagini la situazione logistica di quei tempi, eppure, per esempio, questi operatori riuscirono ad ottenere, a favore del loro commercio, che il corriere postale a dorso di cavallo impiegasse solamente dodici giorni per arrivare a Londra da Roma, a quell’epoca un grande successo considerata la distanza di circa 1800 chilometri.
I referenti romani erano due artisti e allo stesso tempo commercianti, i quali curavano direttamente gli scavi archeologici e poi le opere più significative, anche grandi sculture in marmo, le spedivano ai clienti inglesi. Migliaia e migliaia, come detto, le opere fatte uscire dal solo Stato della Chiesa nel corso del 1700 e negli anni gli aristocratici inglesi riempirono le loro sfarzose magioni di opere d’arte italiane
Un altro importante artista mercante che pure in quegli anni favorì questo ricco commercio estero fu Giovani Battista Piranesi. Naturalmente i compratori erano anche di altre città e europee ma la massima parte era anglosassone.
A Firenze, città particolarmente amata dagli Inglesi, erano presenti anche qui mediatori e mercanti specializzati alle opere pittoriche e scultoree dei grandi maestri fiorentini e all’arredamento.
Un altro referente era presente a Venezia, un diplomatico, che fece incetta della quasi totale produzione delle opere del Canaletto e di decine e decine di opere degli arti sti veneti. (16971768).
Anche a Napoli era presente un diplomatico inglese, William Hamilton (1730-1803), cultore d’arte e studioso, autore di alcune pubblicazioni che hanno fatto epoca. In quegli anni Pompei cominciava a venir dissepolta e naturalmente sensibile l’interesse di Lord Hamilton che mise assieme una notevole collezione di vasi etruschi e greci scavati a Pompei; centinaia, che ebbe cura in parte di descrivere e pubblicare e poi rivendere tutti al British Museum e ad altri privati collezionisti in Inghilterra.
Il colpo micidiale al depauperamento in tutta Italia avvenne con la presenza di Napoleone sulla scena europea che saccheggiò la crema dell’arte italiana. Giganteschi i danni arrecati e i furti nell’Italia dell’epoca divisa in stati e staterelli! Le cronache parlano di 506 quadri di grandi maestri trafugati e restituiti in 249!! Senza contare gli oggetti e l’oreficeria e i dipinti e le sculture saccheggiati a Firenze, a Venezia … questi, parrebbe, mai reclamati.
La Spagna, la Prussia e gli altri stati derubati andarono a Parigi addirittura con gli eserciti a riprendersi le opere d’arte. Gli Stati italiani zero! Perdite inaudite.
Quanto è avvenuto nel corso del 1800 particolarmente a Roma con riferimento ai furti e alle esportazioni in massima parte clandestine in tutto il mondo, è inimmaginabile.
Uno sguardo attento ai soli maggiori musei e gallerie del pianeta illumina su una situazione tragica che, atroce e imperdonabile, non si conosce e nulla viene fatto per far conoscere, anche oggi, ad ammonimento e avvertimento.
E’ certo che se questi grandi musei stranieri venissero privati delle presenze italiane di cui stiamo parlando, potrebbero chiudere o altrimenti vivere una vita stentata!
Di entità ancora più impressionante è quanto non si conosce disperso tra gli altri musei, tra i privati collezionisti o chiuso nei depositi dei musei o altrove!
Nel corso del 1800 si iniziarono a scoprire le necropoli di Cerveteri, Vulci, Tarquinia, il favoloso mondo etrusco, senza menzionare quanto veniva fuori da Pompei, Ercolano, ecc., quanto dalla Puglia e dalla Sicilia.
Dapprima da parte dei contadini nel corso dei loro lavori e poi da autentici ladri e delinquenti, i cosiddetti tombaroli, si iniziò sistematicamente il disseppellimento e la spoliazione forsennata delle antiche tombe: una operazione indisturbata e fuori di ogni controllo e vigilanza che dura, ampliata e perfezionata ormai in tutta Italia, anche oggi, quasi normalmente: milioni di oggetti di ogni tipo che si possono immaginare sotto terra e nel mare, ma anche nelle chiese, ecc., veicolati, allora ed oggi, furtivamente in ogni angolo del pianeta, nel commercio privato e in quello istituzionale.
La quantità precisa derubata e il valore colossale non si conosceranno mai!
Se commercializzata secondo le regole, almeno la quantità conosciuta di opere d’arte nei musei, di sicuro avrebbe azzerato il debito pubblico e dato anche un extra!!!
Non di rado sono oggetti ed opere del massimo valore e significato, avidamente ricercati ed appetiti, che lo Stato italiano, oggi, quando ormai le vacche sono scappate, talvolta inizia le trafile di indagine prima e giudiziarie internazionali dopo, per rientrarne, dopo anni e anni, qualche volta, in possesso di qualcuna.
Le antiche famiglie romane non hanno mancato di essere attive nell’accaparramento, famosa per esempio la collezione Torlonia. Opere eccelse, solo capolavori, furono recuperate dal Vaticano; una delle tombe etrusche integre e tra le più sfarzose e ricche per la quantità, ma non solo, di oreficeria fu immediatamente e per fortuna, incamerata dal Papato, tanto che Gregorio XVI, l’anno dopo, 1837, fondò il Museo Gregoriano Etrusco, uno dei primi musei al mondo. Quanto è qui visibile di archeologia antica nelle 22 sale espositive è semplicemente sbalorditivo: solo opere di qualità eccelsa, di gran lunga sovrastante senza dubbio alcuno, quanto nei pubblici musei italiani, per qualità e quantità.
La Chiesa cercò di mettere un freno e un controllo alla enorme spoliazione e il cardinal Pacca è celebre per il suo editto del 1817 che doveva disciplinare la smisurata e diffusa attività di contrabbando. In effetti a Roma si era consolidata una rete illegale totalmente all’insegna dell’interesse privato: si registrano nomi di collezionisti e di antiquari passati letteralmente alla storia per la quantità e pregio di incettazioni sulla piazza non solo di Roma: reperti affiorati indescrivibili per qualità e valore.
Archeologi noti gestivano il commercio internazionale degli oggetti: Wolfgang Helbig, che fornì circa mille pezzi alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen e grandi quantità ai musei archeologici di Berlino e di Monaco, di Londra, dell’America in società con Francesco Marinetti, altro noto mercante ed esperto archeologo.
Ancora, il grande Ludwig Pollak, che trattava con le case reali europee e i grandi musei, conosciuto il rapporto avuto con il collezionista russo Gregorio S. Stroganoff, che aveva accumulato una gigantesca raccolta di opere d’arte antica di ogni genere andata dispersa in tutto il mondo.
Poi due personaggi veramente fuori del comune sia per la colossale attività svolta e sia anche per certi rapporti personali e cioè John Marshall e Perry Warren, il primo inglese e l’altro americano, nati nello stesso anno 1860 e morti nel medesimo anno 1928 a distanza di pochi giorni, omosessuali fedeli tutta la vita, quasi tutta la esistenza trascorsa a Roma, hanno intrattenuto assieme, in particolare il primo col Museo di Boston e l’altro col Metropolitan di New York, un rapporto che ha reso questi due musei i più ricchi e i più forniti di archeologia etrusca e greco-romana: quantità incredibili, qualità eccezionali e valori impensabili.
Altro cultore e appassionato fu Luciano Bonaparte, fratello di Napoleone, nominato dal papato principe di Canino, nel viterbese, il quale a Vulci disseppellì centinaia, forse un migliaio di vasi etruschi e greci, e non solo che, alla fine, dopo averli schedati e disegnati e anche pubblicati, per ragioni economiche disperse in Europa e in America tra musei e collezionisti: patrimonio artistico e finanziario difficilmente quantificabile nel suo immenso valore e rarità. In particolare, fanno parte di questi reperimenti di Luciano Bonaparte e di sua moglie due preziosi sbalorditivi sarcofagi in grandezza naturale in terracotta con due coppie distese, dei quali è arduo rinvenire gli uguali venduti, per diverse mani, al Museo di Boston e qui visibili.
Altro massimo collezionista romano fu Gianpietro Campana (1809/1880) che mise assieme una collezione smisurata di oggetti di scavo, di numismatica e gemme e cammei e ori e argenteria e una ricca quantità di maioliche: tutto finì nei musei Ermitage di San Pietroburgo, al Victoria and Albert Museum di Londra, al Metropolitan di New York e molto altro al Louvre di Parigi, dove intere gallerie sono dedicate alla collezione Campana, specie maioliche antiche, oreficeria, sculture, reperti etruschi.
Particolarmente significativo sia per il successo riportato, sia per le ricchezze accumulate e sia per la tradizione artigianale impostata grazie ai figli e ai nipoti, fu Fortunato Pietro Castellani (1794/1865) che creò una attività di altissimo pregio nella produzione di oreficeria antica specie di oro e pietre preziose nel rispetto completo delle antiche lavorazioni, naturalmente di pari passo acquistò enormità di oggetti di epoca.
Grave perdita furono i circa cinquecento oggetti, tra i quali preziosi bronzetti etruschi accumulati dal collezionista Ridolfini Corazzi a Cortona e poi venduti dagli eredi nel 1819 al Re di Olanda per dodici mila scudi e oggi al Museo di arte antica di Leida, come pure lo straordinario vaso (lebéte) in bronzo alto ca. 68 cm scavato a Maria Capua Vetere nel 1847 e poi approdato al British Museum, assieme ad altre preziosità.
Perdita sconvolgente fu poi la vendita delle opere della Collezione Camillo Borghese a Napoleone, oggi al Louvre, tra cui l’incredibile Vaso Borghese, l’Ermafrodito sul materasso di Gian Lorenzo Bernini, il busto meraviglioso di Antinoo, la statua del Gladiatore e di altri settecento pezzi circa. Opere pittoriche inaudite anche della collezione Borghese lasciarono l’Italia alla chetichella negli anni successivi: di Caravaggio, di Raffaello, di altri grandissimi maestri. Un patrimonio artistico supremo.
Sempre a Roma, miniera inesauribile, altri famosi collezionisti e compratori a favore dei propri paesi furono il diplomatico prussiano Wilhelm Dorow e il Conte polacco Michele Tyskievicz compratore di tutto, specie di glittica cioè medaglie e gemme e cammei.
Ardua, inoltre, da inventariare la quantità di beni archeologici spacciata, ovunque nel mondo, direttamente dai tombaroli e scavatori clandestini di tombe etrusche, come pure la quantità dissepolta dagli archeologi stranieri specie nella Puglia e oggi visibile nei musei delle loro città.
Infine la vicenda più incredibile.
Alla fine del secolo, 1800, il mondo dell’arte internazionale fu letteralmente scosso da una apparizione sul mercato semplicemente fantastica. Alle pendici del Vesuvio, in una zona agricola, anche essa totalmente sepolta dalla lava, nei secoli successivi divenuto un bosco verdeggiante, dove il re Borbone andava a caccia, qualcuno iniziò a scavare. Fu portato alla luce il cosiddetto tesoro di Boscoreale. Non si saprà mai quale ne fosse la consistenza. Sappiamo solo che al Museo del Louvre sono presenti 109 pezzi di argenteria scolpita e cesellata, tutto un servizio da pranzo, di epoca romana, di qualità impareggiabile, mai vista fino allora in tale quantità e qualità; in aggiunta anche mille rarissime monete d’oro fior di conio del primo secolo. Il mondo antiquariale europeo ne fu letteralmente traumatizzato. Si sa che il banchiere parigino Rothschild ne acquistò una parte per la cifra all’epoca favolosa di cinquecentomila franchi. L’Italietta di quegli anni, che aveva rifiutato di acquistare il tesoro, portò in giudizio il proprietario a esportazione clandestina avvenuta: tutto finì in una bolla; non solo, subito dopo il fortunato frodatore nazionale si presentò come deputato e fu perfino eletto alla Camera!
Michele Santulli