L’Italia ai tempi dell’Eneolitico (VII): le migrazioni da Istria e Dalmazia al Piceno

In alto, mappa fisica della penisola balcanica con indicazione delle regioni occupate in epoca preistorica e storica dai Liburni (in rosso) e dai Siculi (in nero). I Siculoti (la regione è anch’essa indicata in nero), menzionati da Plinio, erano se non un ulteriore frazionamento dei Siculi della costa dalmata. I Liburni hanno occupato una vasta regione compresa tra gli attuali fiumi Raša (Nord) e Krka/Cherca (Sud), delimitata nell’entroterra (Est) dalle Alpi Bebie (parte del complesso dinarico), tutta nell’attuale Croazia, ma con fondata certezza giungendo sino alla Slovenia nei tempi più antichi (gli antichi Istri erano infatti un loro antico frazionamento); i Siculi quella regione compresa tra gli attuali fiumi Cherca (Nord) e Neretva (Sud), comprendendo l’antica regione storica della Dalmazia e le attuali regioni di Croazia e Bosnia-Erzegovina, essendo questa soltanto l’estensione riferita da Plinio ai suoi tempi (I sec. Era volgare), avendo nei tempi più antichi, a partire dal V-IV millennio a.C., un’estensione ancora maggiore, sino al fiume Drin; i Siculoti quella regione dell’entroterra compresa tra gli attuali fiumi Drina (Ovest), Lim (Est) e Tara (Sud), tra le attuali regioni di Serbia, Montenegro e Kosovo. Ripeto, è fondatamente certo che l’estensione del territorio dei Siculi fosse in tempi molto più antichi (ovvero dai tempi di primo insediamento nei Balcani, tra Neolitico e Calcolitico) assai più vasta, fino alla foce del fiume Drin, poco a Sud del Lago di Shkodra, tra gli attuali Stati di Montenegro, Kosovo e Albania (questo è anche dimostrato dall’enclave dei Siculoti nell’entroterra, che tra l’altro spiega anche l’incontro tra Siculi e Traci e l’assorbimento da parte dei Traci di elementi etnici e culturali siculi, come il caso del re trace Sikelòs del quale ci ha informato Diodoro Siculo).
La penisola balcanica con le regioni occupate in epoca preistorica e storica dai Liburni (in rosso) e dai Siculi (in nero). I Siculoti (anch’essi indicati in nero), menzionati da Plinio, erano un ulteriore frazionamento dei Siculi della costa dalmata. I Liburni hanno occupato una vasta regione compresa tra gli attuali fiumi Raša (Nord) e Krka/Cherca (Sud), delimitata nell’entroterra (Est) dalle Alpi Bebie (parte del complesso dinarico), tutta nell’attuale Croazia, ma con fondata certezza giungendo sino alla Slovenia nei tempi più antichi (gli antichi Istri erano infatti un loro antico frazionamento); i Siculi quella regione compresa tra gli attuali fiumi Cherca (Nord) e Neretva (Sud), comprendendo l’antica regione storica della Dalmazia e le attuali regioni di Croazia e Bosnia-Erzegovina, essendo questa soltanto l’estensione riferita da Plinio ai suoi tempi (I sec. Era volgare), avendo nei tempi più antichi, a partire dal V-IV millennio a.C., un’estensione ancora maggiore, sino al fiume Drin; i Siculoti quella regione dell’entroterra compresa tra gli attuali fiumi Drina (Ovest), Lim (Est) e Tara (Sud), tra le attuali regioni di Serbia, Montenegro e Kosovo. Ripeto, è fondatamente certo che l’estensione del territorio dei Siculi fosse in tempi molto più antichi (ovvero dai tempi di primo insediamento nei Balcani, tra Neolitico e Calcolitico) assai più vasta, fino alla foce del fiume Drin, poco a Sud del Lago di Shkodra, tra gli attuali Stati di Montenegro, Kosovo e Albania (questo è anche dimostrato dall’enclave dei Siculoti nell’entroterra, che tra l’altro spiega anche l’incontro tra Siculi e Traci e l’assorbimento da parte dei Traci di elementi etnici e culturali siculi, come il caso del re trace Sikelòs del quale ci ha informato Diodoro Siculo).

Procediamo col viaggio, puntando a Nord fino al limite massimo della presenza dei Siculi nella penisola, riprendendo sempre il testo del venerabile Plinio, la Naturalis Historia, immenso pozzo di scienza (libro III, 11, 110-111): (110) Quinta regio Piceni est, quondam uberrimae multitudinis. CCCLX Picentium in fidem p. R. venere. orti sunt a Sabinis voto vere sacro. tenuere ab Aterno amne, ubi nunc ager Hadrianus et Hadria colonia a mari VI. flumen Vomanum, ager Praetutianus Palmensisque, item Castrum Novum, flumen Batinum, Truentum cum amne, quod solum Liburnorum in Italia relicum est, flumina Albula, Tessuinum, Helvinum, quo finitur Praetutiana regio et Picentium incipit. (111) Cupra oppidum, Castellum Firmanorum et super id colonia Asculum, Piceni nobilissima intus, Novana. in ora Cluana, Potentia, Numana a Siculis condita, ab iisdem colonia Ancona, adposita promunturio Cunero in ipso flectentis se orae cubito, a Gargano CLXXXIII. intus Auximates, Beregrani, Cingulani, Cuprenses cognomine Montani, Falerienses, Pausulani, Planinenses, Ricinenses, Septempedani, Tolentinates, Traienses, Urbesalvia Pollentini. ‘’(110) La Quinta Regione è quella del Piceno, un tempo molto popolata. 360.000 Piceni [ricordo sempre che la cifra romana dovrebbe essere sopralineata per indicare questo numero, ma io non ho al momento i mezzi per farlo] furono ridotti all’obbedienza verso Roma. Essi [i Piceni] ebbero origine dai Sabini mediante il voto del Ver Sacrum. Abitavano un territorio che cominciava dal fiume Aterno, dove oggi [ai tempi di Plinio, I sec.] vi sono il campo Adriano e la colonia di Hadria [attuale Atri] distante dal mare sei miglia. Poi vi è il fiume Vomano, il campo Pretuziano, quello Palmense; poi Castro Nuovo, il fiume Batino [attuale fiume Tordino], Truento con l’omonimo fiume, l’unico territorio rimasto ai Liburni in Italia [attuale fiume Tronto], poi il fiume Albula [attuale fiume Vezzola], il fiume Tessuino, il fiume Elvino, il quale pone fine alla regione Pretuziana e da cui ha inizio il Piceno. (111) Il centro di Cupra, il Castello[1] dei Firmani, e sopra esso la colonia di Ascoli, e la più rinomata di tutto il Piceno, all’interno, Novana. Sul litorale, Cluana, poi Potenzia, Numana fondata dai Siculi così come la colonia di Ancona, che poggia sul Promontorio Cunero, flettendosi su di esso a forma del gomito litoraneo, distante dal Gargano 183 miglia. Nell’interno, ci sono gli Aussimati, i Beregrani, i Cingulani, i Cupresi detti i Montanari, i Faleriensi, i Pausulani, i Planinensi, i Ricinensi, i Settempedani, i Tolentinati, i Traiensi, i Pollentini di Urbesalvia[2]’’.

Ci sono adesso parecchie cose da trattare, molto interessanti. Come, ad esempio, il popolo dei Liburni, ‘’cugini’’ dei Siculi, loro ‘’coinquilini’’ sia nei Balcani sia nella penisola italiana. Poi le coordinate geografiche per poter rintracciare con estrema facilità alla luce del giorno le varie località, le chorai, dove Siculi, Liburni e tutti gli altri popoli menzionati erano insediati in tempi molto antichi. Ed infine Ancona, della quale tanto bramavo di parlare. Ma andiamo cauti, senza fretta, passeggiando, proprio come in una gita domenicale (alla quale sempre vi invito accompagnati dalla lettura dei miei articoli, fatti proprio ad hoc).

I Piceni, dice Plinio, che ebbero origine dalla celebrazione del Ver Sacrum dei Sabini, abitavano un territorio che aveva inizio dal fiume Aterno (attuale fiume Pescara)[3], proprio dove si trova il campo Adriano e dunque l’attuale Atri. A seguire, verso Nord, s’incontra il fiume Vomano e dunque il campo Pretuziano e quello Palmense. Ancora risalendo la regione, si giunge a Castro Nuovo, poi al fiume Batino (idronimo celtico, attuale fiume Tordino), poi ancora a Truento ed all’omonimo fiume (attuale Tronto), l’unico territorio rimasto ai Liburni in Italia, nel territorio attorno all’attuale Ascoli Piceno; ancora più su si giunge al fiume Albula (attuale fiume Vezzola), poi al fiume Tessuino, al fiume Elvino. Il fiume Elvino (idronimo che parrebbe sempre di origine celtica) segna il confine tra la regione Pretuziana e quella del Piceno. Sappiamo infatti dalle fonti storiche antiche, a partire dal testo di Plinio il Vecchio (il libro III della Naturalis Historia), corroborate esse dal dato archeologico ed antropologico, che i Siculi provenivano dai prospicienti Balcani (infatti ve ne erano ivi stanziati fino ai tempi di Plinio), precisamente dalla regione dalmata, dagli attuali territori che si estendono dalla Croazia all’Albania (versante settentrionale)[4].

Paesaggio attraversato da un tratto del corso del fiume Cherca (in Croato Krka), fiume che segnava il limite tra il territorio dei Liburni (a Nord) e quello dei Siculi (a Sud) fino al I sec. Era volgare (è lo stesso Plinio, infatti, a menzionare certi Siculi quale ethnos ancora presente in quella regione balcanica)
Paesaggio attraversato da un tratto del corso del fiume Cherca (in Croato Krka), fiume che segnava il limite tra il territorio dei Liburni (a Nord) e quello dei Siculi (a Sud) fino al I sec. Era volgare (è lo stesso Plinio, infatti, a menzionare certi Siculi quale ethnos ancora presente in quella regione balcanica)

Anche i Liburni provenivano da questa regione, sebbene avessero espansione fino all’attuale Slovenia[5]. Per i Romani la regione Liburnia era quel tratto costiero balcanico delimitato dai fiumi Arsa in Istria[6] (l’attuale Raša, in lingua croata) e il fiume Titius (l’attuale Krka o Cherca) a Sud di Zara[7] in Dalmazia, regione storica che nell’epoca ellenistica e romana delimitava la Liburnia a meridione, mentre nell’interno le Alpi Bebie (Velebit, i Monti Velebiti) rappresentavano l’altro confine naturale. In sintesi, la penisola balcanica fino al I sec. Era volgare, così come ce la presenta Plinio presentava il seguente quadro etnico: i Liburni nella vasta regione compresa tra gli attuali fiumi Raša (Nord) e Krka/Cherca (Sud), delimitata nell’entroterra (Est) dalle Alpi Bebie (parte del complesso dinarico), tutta nell’attuale Croazia, ma con fondata certezza giungendo sino alla Slovenia nei tempi più antichi (gli antichi Istri erano infatti un loro antico frazionamento); i Siculi nella regione compresa tra gli attuali fiumi Krka/Cherca (Nord) e Neretva (Sud), comprendendo l’antica regione storica della Dalmazia e dunque le attuali regioni di Croazia e Bosnia-Erzegovina, ma essendo questa soltanto l’estensione riferita da Plinio ai suoi tempi (I sec. Era volgare), avendo nei tempi più antichi, a partire dal V-IV millennio a.C., un’estensione ancora maggiore, sino al fiume Drin; i Siculoti nella regione dell’entroterra compresa tra gli attuali fiumi Drina (Ovest), Lim (Est) e Tara (Sud), tra le attuali regioni di Serbia, Montenegro e Kosovo. Ripeto, è fondatamente certo che l’estensione del territorio dei Siculi fosse in tempi molto più antichi (ovvero dai tempi di primo insediamento nei Balcani, tra Neolitico e Calcolitico) assai più vasta, fino alla foce del fiume Drin, poco a Sud del Lago di Shkodra, tra gli attuali Stati di Montenegro, Kosovo e Albania (questo è anche dimostrato dall’enclave dei Siculoti nell’entroterra, che tra l’altro spiega anche l’incontro tra Siculi e Traci e l’assorbimento da parte dei Traci di elementi etnici e culturali siculi, come il caso del re trace Sikelòs del quale ci ha informato Diodoro Siculo). Proprio accanto ai Siculi, nell’entroterra ed in epoca molto antica, ci sarebbero stati gli Ausoni, i quali avrebbero poi preso possesso delle coste qualora i Siculi avessero subito una forte diminuzione demografica e costretti in parte a disperdersi nel territorio (i Siculoti ne sono un esempio), fino in Tracia, in parte a lasciare la sede balcanica per l’Italia (dunque già sul finire del IV millennio a.C.). Questo darebbe spiegazione sulle affinità tra l’etnonimo degli Ausoni e la gens Aurelia, che, come si sa proveniva proprio dalla Dalmazia. Sul significato dell’etnonimo degli Ausoni sono state infatti proposte molte spiegazioni che lo legherebbero al ‘’Sole’’, da *Ausel-, sebbene questa radice semantica non sia mai esistita a livello indoeuropeo, e per il quale io invece ne ho proposto un’altra ben trattata sui miei libri, da *auk(s)- ‘’aumentare’’, che invece trova raffronto a livello indoeuropeo su diverse e vaste aree laterali, e che va ad inglobare anche il significato di ‘’splendere/irradiare’’ ma a partire dal primevo significato di ‘’espandersi’’, significato dato anche all’Aurora e dunque la metallo prezioso legato al Sole, ossia l’oro (Aurora e aurum in Latino, rispettivamente dalle forme arcaiche Ausosa e ausum). I Liburni furono un popolo che sino ad epoca storica praticavano il rito dell’inumazione in posizione fetale, proprio quello delle fasi più antiche delle tombe sicule a grotticella artificiale, e lasciarono testimonianze documentali come la nota stele di Novilara[8], nella quale è possibile estrapolare glosse da porre subito a confronto per similarità con quelle sicule, come quella indicante il colore rosso rotnem (Acc. singolare) con forma radicale rot-, simile a quella sicula rut-, derivanti entrambe da quella ancestrale, dunque indoeuropea *reudh[9]. Sempre da questa regione, dalla Liburnia balcanica, provenivano anche i propriamente illirici Dauni, poi abitatori del versante settentrionale della Puglia a partire dalla fase tarda/finale dell’età del Bronzo, al tempo della diffusione della Cultura dei Campi d’urne, della quale gli stessi Dauni ne furono influenzati nei Balcani, importandola poi nella regione apula; così come gli Ausoni, altri proto-Illiri, ne furono influenzati dal primo nucleo del sinecismo etrusco. Entrambe le colonie dionigiane, Issa e Lissos, che, ripeto, nascono ancora una volta da forme radicali proto-illiriche/sicule e non elleno-doriche, furono fondate proprio durante il periodo di stanziamento di Filisto nel Veneto, o poco prima, dunque a partire dagli anni ’90 del IV sec. a.C. fino al 386 a.C., anno in cui ebbe inizio il suo confinamento ad Adria veneta duranto vent’anni[10]. E gli anni dell’esilio furono quelli in cui il nostro Filisto cominciò a scrivere i Sikelikà, i cui frammenti superstiti, seppur epitomati da altri scrittori del tempo antico, sono preziosissimi per questa ricerca.

L’Ager Hadrianus nella mappa dell’Italia Augustea, tra le Regioni IV e V
L’Ager Hadrianus nella mappa dell’Italia Augustea, tra le Regioni IV e V

Adesso le coordinate geografiche, molto importanti, senza le quali tutto rimarrebbe teorico, sulla ‘’carta’’. È necessario che quanto io descrivo possa essere visto, toccato, soprattutto vissuto. Abbiamo visto che partendo da Atri, dall’ager Hadrianus in Abruzzo, territorio provinciale di Teramo, tra il fiume Aterno (l’attuale fiume Pescara), a Sud, che fungeva da confine amministrativo tra la Regio V Picenum e la Regio IV Samnium, ed il fiume Vomano, poco più a Sud di Teramo (l’antica Interamnia dei Pretuzi: Interamnia ‘’Tra due fiumi’’, ovvero il Vomano e l’Esino), dunque sempre nell’Abruzzo, si estendeva il territorio di Atri, che in epoca proto-storica era ormai territorio degli osco-sabellici Pretuzi, passando prima sull’ager Praetutianus, delimitato ad Ovest dal Monte Tetrica, e poi, sempre nell’interno, verso la catena appenninica (Appennino abruzzese), sull’ager Palmensis, delimitato ad Ovest dal Monte Fiscello, lungo la catena del Gran Sasso. Superato il fiume Vomano, Teramo poco più a Nord, sempre nel territorio dei Pretuzi, proseguendo sempre in direzione Nord fino al Monte della Laga, al Monte dei Fiori, si giunge al fiume Tronto, quello che oggi segna parte del confine amministrativo tra le regioni Abruzzo e Marche, lambendo Ascoli Piceno, e che in passato lambiva il territorio dei Liburni, ‘’cugini’’ dei Siculi. Truentum, o meglio ciò che fu Castrum Truentum, fu dunque fondazione dei Liburni balcanici. Ma in epoca antica, quantomeno ai tempi di Plinio, nel I sec. dell’Era volgare, non il fiume Tronto segnava il confine del territorio dei Pretuzi da quello dei Piceni, così come certi studiosi hanno affermato o supposto e che io tendo a credere quale confine naturale in epoca più antica (ne spiegherò i motivi più avanti): proprio all’altezza del fiume Elvino (poco sotto il fiume Tronto, ma non il Tronto, stando a quanto scrive Plinio) finiva il territorio dei Pretuzi e cominciava quello dei Piceni. Plinio, nel par. 110, seguendo un’immaginaria linea di percorso da Nord a Sud, cita i fiumi che solcano la regione uno dopo l’altro: il Tuento/Tronto, l’Albula/Avezzola, il Tessuino ed infine l’Elvino, quest’ultimo confine regionale tra Piceni e Pretuzi. Stando a quanto dice Plinio, dal fiume Elvino cominciava il Picenum vero e proprio, non dunque dal Tronto, che tra l’altro passava per Asculum/Ascoli Piceno e dunque doveva necessariamente ricadere nel territorio dei Piceni.

L’Ager Hadrianus nell’attuale Abruzzo, tra i fiumi Pescara e Vomano.
L’Ager Hadrianus nell’attuale Abruzzo, tra i fiumi Pescara e Vomano

Plinio dice inoltre: risalendo poi fino al fiume Elvino e poi al fiume Batino (attuale fiume Tordino), in mezzo ai quali vi è Castro Nuovo, ancora più a Nord s’incontra il fiume Truento, ossia l’attuale Tronto, e dunque il Castro di Truento, ultima sede dei Liburni in Italia. I Siculi dunque occupavano inizialmente nella lontana epoca eneolitica una vasta area delimitata dai fiumi Aterno e Batino; mentre nell’area deliminata dai fiumi Batino/Tordino (a Sud) e Truento/Tronto (a Nord) vi erano stanziati i Liburni (in epoca storica la sola area attorno al fiume Truento/Tronto). I Pretuzi erano separati dai Piceni, sebbene fossero un loro frazionamento (ricordate il Ver Sacrum?) dal fiume Elvino, poco più a Sud del fiume Tronto, dove finiva l’ager Praetutianus stando sempre a quanto dice Plinio (io sono più propenso a considerare limes il fiume Tronto, molto più grande dell’Elvino, dunque con uno spostamento di confine in epoca molto seriore e persistita sino ai tempi di Plinio, sebbene questa sia solo una mia supposizione, logica certamente, e per mettere d’accordo i vari dati provenienti dalla Letteratura antica e dall’Archeologia). Nel territorio dei Piceni, subito dopo il fiume Elvino, vi sono importanti centri come Castro Nuovo, l’antica Cupra, sede del santuario della Dea dai capelli fulvi, Ascoli Piceno, ossia Asculum ‘’Fortezza’’ dei Piceni, attraversata dal fiume Tronto; poi ancora Numana ed Ancona, entrambe fondazioni sicule della prima decade del IV sec. a.C. Oggi il confine tra le due regioni, è segnato in parte dal fiume Tronto, il che pressappoco coincide con la linea di confine tra i Pretuzi ed i Piceni (il fiume Elvino non dovrebbe essere molto distante dal fiume Tronto). Il Piceno, ossia l’attuale Regione Marche, vista in cartina, sembra divisi in setti delimitati dai fiumi lungo una direttrice che è l’Appennino umbro-marchigiano. E così partendo dal fiume Tronto e dunque da Ascoli Piceno, che sino ai tempi storici era l’unica regione in cui erano rimasti Liburni (proprio in mezzo ai Piceni), proseguendo sempre verso Nord passiamo adiacenti ai Monti Sibillini ed al Monte Vettore, dinanzi al Monte dell’Ascensione, fino al fiume Aso (altra radice idronimia proto-illirica/sicula); superiamo Fermo ed il suo territorio fino al fiume Chienti, oltre il quale c’è Macerata, e così il fiume Potenza, il quale lambisce un’area che è una tra le più conosciute in Archeologia come essere stata quella con la più alta concentrazione di siti con tombe a grotticella artificiale sicule della facies precedente alla Cultura di Rinaldone (sua erede diretta, di quando i Siculi si spostarono nel Lazio a causa dell’arrivo degli Umbri), e che proveniva direttamente dai prospicienti Balcani. E così giungiamo ad Ancona, al fiume Esino (altro idronimo proto-illirico/siculo), poi ancora al fiume Metauro, ed ancora più su fino a Pesaro e al fiume Foglia. Anche Pesaro, antica Pisaurum, presenta, come abbiamo già visto, una radice semantica riconducibile al proto-illirico Siculo. Un po’ più a Nord finisce la Regione Marche ed inizia l’Emilia-Romagna inglobando la Repubblica di San Marino. Il confine antico, quello romano, tra le due regioni, Sesta e Ottava, era il fiume Crustumio (sempre con radice semantica proto-illirica/sicula, vedasi il toponimo Crustumerium)[11], l’attuale Conca, e poco più a Nord c’era e tuttora c’è Rimini, l’antica Ariminum e l’omonimo fiume (che anche in questo caso, se Ariminum fosse esito del rotacismo d’un precedente Asiminom si avrebbe a che fare con un altro caso di tipica idronimia proto-illirica/sicula). Dal fiume Crustumio/Conca fino al fiume Esino, si estendeva l’Ager Gallicus, il territorio dei celti Senoni, con Pisaurum (attuale Pesaro), Fanum Fortunae (attuale Fano) e Sena Gallia (attuale Senigallia), quest’ultima poco più a Nord del fiume Esino e di Ancona.

Riassumendo, la Regio V era dunque detta Picenum perché abitata prevalentemente dai Piceni, gli inumatori delle tombe a fossa lastrata, includendo anche il territorio dei Pretuzi, nati dal frazionamento degli stessi Piceni, che a dir di Plinio erano un grosso popolo, comprendendo un’area che partiva dal fiume Esino, nelle Marche, subito dopo l’Ager Gallicus (esteso dal fiume Aesis/Esino fino al fiume Crustumius/Conca, poco a Sud di Rimini), e giungeva in direzione Sud fino al fiume Pescara, nel territorio dell’attuale provincia di Pescara (il fiume infatti dà il nome alla città), in Abruzzo. Era attraversata dalla Via Salaria (la ‘’Via del sale’’) che passava per Ascoli giungendo fino alla costa; e da una diramazione della Via Flaminia, che, raggiungendo ad Ancona, si diramava un’altra volta seguendo le due direzioni costiero, l’una a Nord verso Fano, l’altra a Sud verso il porto i Ascoli, dove s’incontrava con la Via Salaria. Atri, l’antica e rinomata Hadria dell’ager Hadrianus, Giulianova, vicino a quel che fu Castrum Novum, dunque nell’ager Praetutianus, Teramo, ossia l’antica Interamnia Praetutiorum[12], sempre nell’ager Praetutianus, divenuta colonia romana nel 289 a.C.; Martinsicuro, l’antico Castrum Truentum, ultima roccaforte dei Liburni: tutte queste località situate nell’attuale Regione Abruzzo. Ascoli Piceno, Civitanova Marche, un tempo Cluana, Cupra Marittima e Sant’Eulerio di Cupramontana, entrambe rispettivamente vicine a Cupra Marittina e Cupra Montana, Fermo, un tempo Firmum Picenum (Strabone lo menziona scrivendo Φίρμον Πικενόν ‘’Firmo Piceno’’), Falerone, presso cui giacciono le vestigia di Falerio (altro toponimo di origine sicula: ricordate Faleri Veteres dei Falisci nell’opposto versante tirrenico che fu altra fondazione sicula?)[13], Santa Maria a Potenza (Porto di Recanati), vicina al fiume Potenza (molto importante per l’Archeologia sicula peninsulare), ossia l’antica Potentia, San Severino Marche, ossia l’antica Septempeda attraversata dalla Via Flaminia, Urbisaglia, ossia l’antica Urbesalvia, Montedinove, vicina alle vestigia di Novana, ed infine Ancona e Numana: tutte località che oggi fanno parte della Regione Marche.

Individuazione, sulla mappa dell'Italia Augustea, dell’Ager Hadrianus (in nero), Ager Praetutianus (in rosso), Ager Liburnorum (in verde), Ager Palmensis (in azzurro, secondo le coordinate geografiche forniteci da Plinio, in blu in base ai ritrovamenti archeologici)
Individuazione, sulla mappa dell’Italia Augustea, dell’Ager Hadrianus (in nero), Ager Praetutianus (in rosso), Ager Liburnorum (in verde), Ager Palmensis (in azzurro secondo le coordinate geografiche forniteci da Plinio, in blu in base ai ritrovamenti archeologici)

L’ager Hadrianus si estendeva in un’area delimitata a Sud dal fiume Pescara, a Nord del fiume Vomano, ad Est dal Mare Adriatico, ad Ovest dalla catena appenninica, dunque nella parte settentrionale dell’Abruzzo, tra Pescara e Teramo; l’ager Praetutianus nell’area delimitata a Sud dal fiume Vomano, a Nord dal fiume Tronto (che considero molto più probabile limes naturale rispetto al fiume Elvino citato da Plinio, proprio per la maggiore grandezza e dunque importanza del fiume Tronto), a Est dal Mare Adriatico, a Ovest dalla catena appenninica, tra un lembo della propaggine più meridionale delle Marche e la parte settentrionale dell’Abruzzo, tra Teramo e Ascoli Piceno; l’ager Palmensis nell’area delimitata a Sud dal fiume Tronto, a Nord dal fiume Aso (o molto probabilmente dal fiume Potenza, l’antico Flosis, visto l’alto numero di necropoli a grotticella artificiale nel territorio di Recanati), a Est sempre dal mare ed a Ovest sempre dalla catena appenninica. Cosa certa è che i Monti Sibillini, Monte Ascensione e tutta la parte meridionale dell’Appennino umbro-marchigiano facevano parte dell’ager Palmensis. A prima vista, parrebbe che tale ager finisse con il corso del fiume Aso, poco più a Sud di Fermo; ma, come ho detto, i ritrovamenti di necropoli sicule nel maceratese, dunque tra i fiumi Chienti, l’antico Flusor/Cluentus, e Potenza (soprattutto l’area attraversata del fiume Potenza, la ben nota Valle del Potenza), fanno invece pensare che questo ager Palmensis finisse proprio sul corso del fiume Potenza. La città picena di Palma, sorta su una roccaforte dei Piceni del VI sec. a.C. nel territorio di Firmum Picenum (territorio dell’attuale Fermo), divenuta romana a partire dal 286 a.C., ed abbandonata a seguito della sua distruzione e spopolamento causati dalle incursioni saracene all’inizio del basso Medioevo (XI-XII sec.), ha dato in epoca romana nome all’ager, detto pertanto Palmensis. Questo ager comprendeva anche l’attuale territorio di Val Vibrata fino al fiume Chienti (anzi, alcuni studiosi lo delimitano tra il fiume Chienti a Nord e la Val Vibrata a Sud)[14]. Ma io non sono d’accordo. Pertanto l’ager Palmensis è tutta quell’area marchigiana tra Ascoli Piceno, a partire dal fiume Tronto, fino (molto probabilmente) a Macerata, precisamente fino al fiume Potenza. Se così non fosse perché Plinio avrebbe detto (Naturalis Historia, libro III, 4, 112): … Ab Ancona Gallica ora incipit Togatae Galliae cognonime. Siculi et Liburni plurima eius tractus tenuere, in primis Palmensem, Praetutianum Hadrianumque agrum. Umbri eos expulere, …? A partire da Nord, proprio da Ancona, dunque guardando a Meridione, Siculi e Liburni, ponendo così in primis proprio i Siculi, rimarcandone la superiorità demografica pertanto una maggiore estensione territoriale, possedevano molte parti di questo tratto, fin quando gli Umbri espulsero i Siculi. Per quanto invece riguarda i probabili limina dell’ager Praetutianus, si può procedere con questo ragionamento. Il confine meridionale è certo, ed esso è il fiume Vomano. Lì non si discute ulteriormente. Circa quello a Settentrione, che per Plinio era il fiume Elvino, poco più a Sud del fiume Tronto, e per gli studi più recenti, il mio compreso, il fiume Tronto stesso, si può facilmente asserire che, vista la minore importanza del fiume Elvino a livello di grandezza e portata d’acqua, difficilmente avrebbe rappresentato un imponente confine naturale, rispetto al fiume Tronto che scorre poco più a Nord, a breve distanza. I Piceni di Asculum avrebbero ‘’guadagnato’’ o ‘’riguadagnato’’ l’area attorno a questo fiume, ponendo o riponendo i confini del loro territorio un po’ più a Sud, sul fiume Elvino, a discapito dei Pretuzi, un tempo invece insediati in un’area un po’ più grande, fino al fiume Tronto. Solo che al tempo di Plinio il confine dell’ager Praetutianus era veramente il fiume Elvino e non più dunque il fiume Tronto. Pertanto Plinio in questo caso (solo in questo) aveva ragione ed era effettivamente così al suo tempo. Noi, ovviamente, consideriamo sempre tempi anteriori. Ma poi, per i Siculi dell’eneolitico non c’era mai stata questa di suddividere il territorio in tre chorai, essendo tutto il territorio compreso tra i fiumi Pescara a Sud e Potenza a Nord occupato da loro, con una piccola enclave di Liburni intorno al fiume Tronto. Per loro quel territorio era solo ‘’Sikelia’’, non altro. Infatti, i coronimi sono molto più recenti: quello Hadrianus fa ovviamente riferimento ad Atri; quello Praetutianus fa riferimento ai sabelli Pretuzi, fondatori di Interamnia, attuale Teramo; quello Palmensis fa riferimento comunque a circostanze geo-politiche molto più recenti rispetto all’Eneolitico siculo e proto-illirico (includendo anche i Liburni) dell’area. Questo fa capire anche un’altra cosa, di cui le fonti ancora una volta tacciono, che gli stessi Pretuzzi erano in una condizione, sì, di certa autonomia ma allo stesso tempo di vassallaggio rispetto ai Piceni, da quali discendevano. E perché dico questo? Semplice, pure molto. Un fiume più piccolo e meno importante, quale l’Elvino era buono tanto per confinare i Pretuzi tanto per controllarli.

Individuazione dell’Ager Hadrianus (in nero), Ager Praetutianus (in rosso), Ager Liburnorum (in verde), Ager Palmensis (in azzurro, secondo le coordinate geografiche forniteci da Plinio, in blu in base ai ritrovamenti archeologici)
Individuazione, sulla mappa odierna, dell’Ager Hadrianus (in nero), Ager Praetutianus (in rosso), Ager Liburnorum (in verde), Ager Palmensis (in azzurro, secondo le coordinate geografiche forniteci da Plinio, in blu in base ai ritrovamenti archeologici)

Il Tronto, più grande e più importante, via fluviale di commerci interni era sotto il controllo dei Piceni, popolo ‘’maggiore’’ rispetto agli altri (Plinio sottolinea la grande demografia dei Piceni, prima di essere assoggettati a Roma). Il Tronto, se prima rappresentava per la sua grandezza una barriera naturale, dunque un confine regionale (o cantonale), una volta ‘’ripreso’’ dai Piceni ai Pretuzi, esso sarebbe stato inglobato nell’area occupata interamente dai Piceni, i quali avrebbero ristabilito il nuovo confine regionale (o cantonale) sul fiume a breve distanza a Sud, l’Elvino, un buon confine per marcare le terre e tenere a bada i vicini, sebbene consanguinei. Inoltre, io penso che questo confine più antico del Tronto poteva essere solo se Asculum non fosse stata così ingrandita ed importante da inglobare tutta l’area circostante, ma ai tempi di Plinio essa era già la città più rinomata dei Piceni. Pertanto, il confine del fiume Tronto doveva essere tale se non in epoca molto più antica. Ed ancora, il fiume Tronto sarebbe stato un confine naturale perfetto per suddividere le aree d’occupazione tra Siculi e Liburni, con l’enclave liburna incastonata tra il Tronto ed un altro grosso corso fluviale a Nord, e tutto il resto del territorio occupato dai Siculi. Insomma, i Liburni, dei quali io presumo siano stati i traghettatori dei Siculi direttamente dai prospicienti Balcani, in quanto i Siculi mai hanno coltivato tecnologie e pretese marinaresche al contrario dei Liburni la cui fama ha invece riecheggiato nei secoli, si sono presi solo una fetta, precisamente una fetta, del territorio di nuova occupazione, proprio a partire dal fiume Tronto, sebbene Plinio lasci intendere che il territorio dei Liburni, un tempo molto più grande, sarebbe stato ridimensionato al piccolo possedimento di Castrum Truentum e dintorni. La stele di Novilara è una reliquia liburna, tanto per intenderci[15]. Si può asserire che all’inizio della colonizzazione dai Balcani, i Siculi, popolo da sempre stanziale, avrebbero preso possesso di molte terre, mentre i Liburni, popolo marinaio ed avventuriero, si sarebbero accontenti dei margini litoranei, in un più piccolo territorio, avendo il mare come vero ed importante raggio d’azione, convivendo sempre tramite una perfetta intesa con i Siculi. Una volta cacciati via i Siculi dal territorio al tempo della venuta degli Umbri da Settentrione, molte delle terre, soprattutto quelle costiere, non furono occupate tutte completamente dagli Umbri, lasciando così libero spazio ai Liburni, che avrebbero così occupato più aree una volta che i Siculi se ne sarebbero andati tutti a stabilirsi nell’altra parte, nel versante tirrenico, tra Toscana meridionale e gran parte del Lazio, continuando la facies di Rinaldone, ossia le basi della successiva Cultura proto-appenninica, periodo che segnò poi la fine dell’idillio siculo nel Lazio a causa della venuta dei terramaricoli proto-Latini supportati dai proto-illirici Pelasgi sbarcati a Spina presso le bocche del Po (siamo nel XV sec. a.C.). A sua volta, i Liburni, a seguito di altri arrivi etnici nella regione, come ad esempio l’avanzamento prima degli Etruschi e poi quello sabellico (i Piceni) nell’età del Ferro, poi ancora quello dei celti Senoni, sarebbero stati costretti a lasciare gran parte di quei territori, riducendosi nuovamente ad enclave, come quella storica di Castrum Truentum. Il motivo di questa apparente ‘’remissività’’? Sembra infatti che i Liburni abbiano ‘’lasciato’’ al nuovo prepotente arrivato ciò che era dapprima loro possesso. Le fonti antiche non raccontano gesta belliche dei Liburni o contro di essi, così come per i Siculi, quest’ultimi costretti sempre a spostarsi fino a stabilirsi definitivamente in Sicilia. Tacciono in tal senso e l’unica cosa che sappiamo invece è che i Liburni qui subirono questa perdita, mentre nella loro terra d’origine nei Balcani essi erano molto bellicosi ed audaci. Ed è proprio lì allora la spiegazione che tanto attendiamo. I Liburni erano non tanto interessati alle coste dell’Italia e sicuramente se ne servivano come luoghi in cui erigere stationes con la funzione di emporia, successivamente divenuti stativa (per cabotaggio e lignationes), e non come colonie vere e proprie; mentre, al contrario, erano molto legati alle terre d’origine nei Balcani, tra Slovenia e Croazia. Lì nessuno poteva osare toccarli perché le loro insidiose flotte avrebbero fatto a pezzi chiunque. Non erano deboli, né paurosi, anzi tutto il contrario. Semplicemente non erano interessati tanto alla costa italiana, dove soggiornavano nelle loro stationesemporia, usando dapprima la presenza dei Siculi, ivi da loro stessi traghettati per creare un nuovo florido meccanismo di scambio e di benessere economico. Non si pensi mai che i Siculi possano esser giunti in Italia passando per le Alpi, attraverso una via di terra, perché non è stato così, non essendoci alcun indizio archeologico; né si pensi che i Siculi possedevano flotte per spostarsi via mare, perché questa sarebbe un’ipotesi più fallace della prima. No, i Siculi sono stati traghettati in Italia dai Liburni che già, essendo abili marinai, frequentavano quei luoghi. I Liburni hanno semplicemente trovato l’occasione giusta, dando una mano a portare una parte dei Siculi dai Balcani all’Italia, seguendo così i piani di un nuovo complesso progetto di benessere economico: in Italia i Siculi avrebbero dato vita a colonie (cosa che in effetti fecero) e queste colonie avrebbero servito le stationesemporia dei Liburni, secondo la ben nota formula do ut des. Infatti, i Siculi dell’Italia non hanno mai rivendicato diritti di possesso e/o di ritorno alle terre delle loro generazioni precedenti situate nei Balcani, tra Croazia ed Albania settentrionale (entroterra compreso). I Siculi rimasti nei Balcani hanno continuato ad essere tali fino ai tempi di Plinio (che pure li menziona quando parla dell’Illyricum), né si sono mai dimostrati interessati a raggiungere l’Italia per ricongiungersi con i loro connazionali; né quelli dell’Italia hanno mai mostrato sentimento simile verso quelli dei Balcani. Però ne hanno tramandato la memoria delle origini, confluita poi negli scritti di Filisto, di Plinio etc. Mai i Siculi hanno navigato, né hanno mai avuto un rapporto stretto e diretto con le coste, neanche in Sicilia, che è un’isola. Tucidide, infatti, racconta che quando i Siculi furono costretti a lasciare la Calabria, spaesati, non sapendo cosa fare e dove andare, si volsero verso la costa e, premuti alle spalle, costruirono rudimentali zattere aspettando un vento favorevole per attraversare lo Stretto di Messina. Ora un popolo che non sa arrangiarsi per superare un braccio di mare di quasi 3 km., che non sa costruire un’imbarcazione, ma rudimentali zattere, totalmente impreparato e che aspetta un vento favorevole per un disperato tentativo di salvezza, non è un popolo di navigatori, assolutamente. Per cui tutti quelli che hanno visto nei Siculi ‘’pirati Shekelesh’’ che hanno invaso l’Egitto o qualche popolo alieno dotato di imponente flotta interstellare e bombe termonucleari in formato tascabile, dico semplicemente di lasciare il lavoro della ricerca scientifica soltanto a chi lo sa veramente fare. La cialtroneria non è ovviamente serietà.

Per i Siculi, ripeto, l’estensione degli agri da essi posseduti nella Quinta Regione e citati da Plinio era ininfluente, specie se trattasi di corografia del IV millennio a.C. Sicula era infatti tutta l’area dal fiume Pescara fino, forse, al territorio dell’Adria veneta, dunque oltre il Po e quella Spina sorta nel territorio ove sbarcarono i Pelasgi provenienti dall’Epiro (dato che i Siculi ed i Sicelioti di Siracusa si accamparono lì a partire dagli anni ’80 del IV sec. a.C.). La suddivisione del territorio dell’Ager Gallicus e del Picenum in tre o più chorai non potrebbe mai essere sicula, bensì seriore, del tempo della occupazione sabellica della suddetta area. È solo un modo per riconoscere questi territori al tempo d’oggi, sebbene resti sempre sorprendente il fatto che gli Antichi erano a conoscenza di eventi tanto remoti e tanto veri che oggi per la Scienza senza il loro aiuto, senza la loro testimonianza, senza la loro voce, sarebbe davvero difficile, se non impossibile, svelare.

Alessandro Daudeferd Bonfanti

NOTE

[1] Fortino militare da cui si è sviluppato un centro urbano.

[2] Attuale Urbisaglia.

[3] Anche questo idronimo presenta la stessa radice semantica proto-illirica/sicula, as(s)u-/as(s)i-, con quella particolare evoluzione metafonica di –ss– > –st– > –t– (dunque Aternum da Ass– > Ast– > At-). Ed infatti questo fiume segneva il confine meridionale della chora sicula dell’ager Hadrianus, ‘’Campo’’ delimitato a Nord dal fiume Vomano.

[4] Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, libro III, 22, 141 e 143 (nel par. 141 meziona i Siculi, nel par. 143 menziona i Siculoti).

[5] Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, libro III, 5, 38 e 45; 19, 129; 21, 139; 22, 141; 26, 152.

[6] Questa regione oggi è in parte amministrata dalla Slovenia, in parte dalla Croazia, ed una piccola parte (comuni di Muggia e San Dorligo della Valle) dall’Italia.

[7] Zara è una città della Croazia che si trova nella parte centrale della regione storica della Dalmazia. Con il nome di Iadera, divenne municipium romano e poi colonia al tempo di Cesare. Essa fu fondazione dei Liburni.

[8] Vedasi: Silvio Ferri, L’iscrizione di Novilara e il metodo archeologico, in Studi Olivierani, 1964.

[9] Su questa glossa liburna e sua contestualizzazione a livello radicale rimando al mio saggio Siculi Indoeuropei. Le origini nordiche dell’Ethnos, Tomo I. Vedasi: Alessandro Daudeferd Bonfanti, Siculi Indoeuropei. Le origini nordiche dell’Ethnos. Tomi I-II, Centro Studi Antica Europa ed. – Collana La Ruota del Sole, Noto-Siracusa (I e II ed.) 2020, Noto-U.S.A. (III ed.) 2021.

[10] Diodoro Siculo (Biblioteca storica, libro XV, 13, 4) dice infatti che Lissos fu fondata non molti anni prima della fondazione della colonia (anch’essa siracusana) di Pharos nell’isola di Lesina, nel 385 a.C., dunque un anno dopo dall’inizio del periodo d’esilio ventennale di Filisto nel Veneto. Il periodo sarebbe proprio questo, tra 390 e 386 a.C.

[11] Vedasi il mio articolo: Alessandro Daudeferd Bonfanti, L’analisi delle migrazioni nell’Italia centrale: i Siculi ed il magma dei popoli, in Saturnia Tellus, a cura del Dott. Paolo Domus Lases Casolari, 1 Novembre 2020 (disponibile anche in lingua inglese); ripubblicato in Centro Studi La Runa, a cura del Dott. Alberto Lombardo, 30 Giugno 2021. Per quanto riguarda il coronimo ager Crustuminus, situato in prossimità di Veio, nella Regio VII Etruria, dunque nel versante tirrenico e da porre a confronto ed in relazione con l’idronimo Crustumius del versante adriatico, vedasi: Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, libro III, 5, 52-53.

[12] Non concordo su alcuni quesiti sollevati dagli studiosi, secondo i quali il coronimo ‘’Abruzzo’’ deriverebbe dalla denominazione medioevale Aprutium dato ad Interamnia Praetutiorum e la sua diocesi, indicante tutta l’area a Sud del fiume Tronto, dalla provincia di Teramo fino a quella di Pescara, e che da lì finì per dare il nome a tutta l’area costituente l’attuale Regione Abruzzo. Teramo deriva direttamente da Interamnia, e questo è chiaro come la luce solare; ma da Praetutii non può derivare Aprutium, poiché trattasi di un aggettivo neutro tardo-latino direttamente da quello che in epoca più antica era detto abruptum ‘’scosceso/ripido’’, divenendo nel tempo apruptum fino alla forma attuale.

[13] Qui un altro toponimo con radice semantica proto-illirica/sicula, *fal– < *phehxl– ‘’cadere/rotolare giù’’, con i seguenti esiti in ambito indoeuropeo: in Latino fallo, fallere ‘’trarre in errore/ingannare’’ (da cui la forma medio-passiva fallor, falli ‘’fallire/commettere un errore’’); in Greco antico σφάλλομαι ‘’fallire/commettere un errore’’, con tipica sibilante (s) protetica; in ambito germanico, in Tedesco moderno Fehler machen ‘’commettere un errore’’ e fallen ‘’cadere’’, in Inglese moderno (to) fall ‘’cadere’’, in Norvegese gjør en feil ‘’commettere un errore’’e (å) falle ‘’cadere’’; in Sanscrito pátati (पतति) ‘’sbagliare/fallire/commettere un errore’’; in Lituano padaryti klaidą ‘’sbagliare/fallire/commettere un errore’’. Anche in questo caso abbiamo aree laterali. È cosa matematica.

[14] Vedasi: Maria José Pena, La tribu Velina en Mallorca y los nombres de Palma y Pollentia, in Faventia, n. 26/2, 2004. Secondo la studiosa le città di Palma di Maiorca e Pollentia ebbero i nomi a seguito del trasferimento dei Piceni nell’isola di Maiorca, la più grande dell’Arcipelago delle Baleari, i quali avrebbero dato, secondo la più diffusa usanza (anche cerimoniale, aggiungo, come nel caso dell’eponimia) coloniale, gli stessi nomi dei loro rispettivi luoghi di provenienza. Pollenza, antica Pollentia, nel territorio di Macerata, è ancora un centro vivo, la Pollentia dell’isola di Maiorca non più, ne rimagono solo le vestigia.

[15] Vedasi: Silvio Ferri, L’iscrizione di Novilara e il metodo archeologico, in Studi Olivierani, 1964, pag. 9 et passim; Lorenzo Braccesi, Grecità adriatica: un capitolo della colonizzazione greca in Occidente, Bologna 1977 (II ed.), pagg. 222-224; Luca Antonelli, I Piceni: corpus delle fonti , la documentazione letteraria, ed. L’Erma di Bretschneider, Roma 2003, pagg. 31 e 73; Agostino Peruzzi, Della prima fondazione d’Ancona dissertazione, ed. Domenicantonio Quercetti, Osimo 1794, pagg. X-XII (sull’occupazione dei Siculi e dei Liburni dell’Ager Gallicus, dunque oltre il Picenum e la Togata Gallia).