L’Italia ai tempi dell’Eneolitico (VI): i Fuochi di Fauno e lo “scippo” dell’Immacolata

In questa immagine e in home page due scatti della Notte dei Faugni (del Fuoco di Fauno): qui la preparazione, prima della processione per le strade di Atri, del falò davanti al Duomo di Atri, il rogo invernale che inaugura il Solstizio d’inverno, il ritorno della luce dopo l’oscurità; in home page, l’accensione dei fasci in onore a Fauno poco prima della formazione del corteo che attraverserà le strade della città. La paganitas di questa cerimonia ha preservato sino ad oggi il remoto magico sacrale
In questa immagine e in home page due scatti della Notte dei Faugni (del Fuoco di Fauno) di Atri: qui la preparazione, prima della processione, del falò davanti al Duomo, il rogo invernale che inaugura il Solstizio d’inverno, il ritorno della luce dopo l’oscurità; in home page, l’accensione dei fasci in onore a Fauno poco prima della formazione del corteo che attraverserà le strade della città. La paganitas di questa cerimonia ha preservato sino ad oggi il remoto magico sacrale

Riprendiamo il nostro viaggio, sebbene i nostri incontri non abbiano mai avuto una cadenza ebdomadaria, e ciò sempre per incombenze di molti impegni.

Tuttavia, ne ioco quidem ‘’neanche per scherzo’’, i nostri appuntamenti, sebbene discontinui, hanno sempre un’importanza fondamentale, iniziatica all’Antica Tradizione indoeuropea.

Al termine di questo nuovo appuntamento lasceremo così Atri, luogo d’approdo dei Siculi provenienti dai Balcani nell’età eneolitica (o età del Rame, Calcolitico, IV millennio a.C.), che oltre ad essere celebre per le origini familiari dell’Imperatore Adriano era anche celebre per il suo pregiatissimo vino (ed infatti, nell’Editto di Diocleziano[1] si faceva menzione del vino del Picenum, considerato il più costoso, assieme al Falerno: il Vinum Hadrianum era prodotto nella Regio V Picenum[2], nella città di Hadria; anche Plinio lo considerava uno dei vini più rinomati[3], e manco a farlo apposta, i Siculi andavano matti per il vino)[4], proseguendo il nostro viaggio verso Nord, fino al delta del Po.

Ma prima di salutare la città ‘’sicula’’ è necessaria un’ultima sosta per un’ulteriore osservazione su un’antichissima celebrazione, altro retaggio della nostra spiritualità gentile: i noti ‘’faugni’’ (il ‘’fuoco di Fauno’’) della notte tra il 7 e l’8 Dicembre di ogni anno, notte in cui l’antica Tradizione pagana italica prorompe luminescente, rivivendo effimera, sebbene nascosta nel cerimoniale cristiano.

Fauni ignis ‘’fuoco di Fauno’’, divenuto nel tempo ‘’faugni’’, al plurale, è parte dell’antica tradizione popolare di questa regione, soprattutto della città di Atri, uno dei tanti esempi di assimilazione da parte del cristianesimo di rituali e cerimoniali pagani, ancora legati al mondo rurale, contadino e pastorale.

Nei tempi addietro, nelle campagne del territorio di Atri, i contadini accendevano questi fuochi propiziatori prima del Solstizio d’inverno, in onore a Fauno, affinché, con l’arrivo del nuovo anno, del nuovo ciclo stagionale, si augurasse feracità alla terra.

Tutto questo si è perpetrato ed ‘’incuneato’’ nella celebrazione cristiana dell’immacolata concezione della Madonna, nella notte tra il 7 e l’8 Dicembre, guarda caso subendone modifica nel seguente modo: la Terra, Vergine ed ubertosa, Parthenos e rinnovellatrice della vita per partenogenensi, ossia Tellus, avrebbe ceduto il posto alla Madonna (l’immacolata concezione) del culto cristiano cattolico.

Il cerimoniale dei faugni consiste nell’accensione di alti fasci di canne legate (con lacci di fibre vegetali), portati poi in processione per la città di Atri, all’alba dell’8 Dicembre.

Prima di accendere i fasci di canne, il parroco della cattedrale cittadina, benedice la sera del 7 il falò da cui verranno accesi i fasci, portati poi in processione nelle ore dell’alba del giorno seguente, compiendo il consueto giro per le vie e le piazze del centro storico, giungendo a termine nella piazza del Duomo, dove i fasci ardenti, che possono contarsi fino a cento, vanno a formare un grande falò: un corteo maestoso, accompagnato dalla banda musicale e da canti, formando un ‘’fiume di fuoco’’.

Ora, per ‘’faugni’’, il popolo di Atri indica proprio i fasci portati in processione, non i falò della sera precedente da cui ha origine la processione.

La processione pirica si conclude con la messa mattutina offerta alla Madonna.

E v’è di più.

Durante la processione della sera seguente, dell’8, la statua mariana viene portata su un baldacchino, e la cerimonia di conclude con l’accensione di due fantocci muliebri, le ‘’pupe’’, che solo ad Atri sono due (nel restante Abruzzo solo una).

All’interno, cavo, di ognuno di questi fantocci muliebri vi è una persona che lo anima, facendolo danzare al suono della banda nel momento in cui, al termine della processione, ognuno di questi fantocci viene ‘’acceso’’ di fuochi pirotecnici, e lo stesso gioco pirotecnico procede al contempo da terra rischiarando il cielo notturno tramite macchinari in legno.

Immagine del corteo. Il flusso igneo, l’ancestrale dhaun- > Faun-us, desterà dal riposo, ridando nuovo vigore, Ver, alla Saturnia Tellus. Pensate, in Gotico, lingua estinta del gruppo germanico orientale, dauns significava sia ‘’legna da ardere’’ sia ‘’odore di legna bruciata’’.
Immagine del corteo. Il flusso igneo, l’ancestrale dhaun- > Faun-us, desterà dal riposo, ridando nuovo vigore, Ver, alla Saturnia Tellus. Pensate, in Gotico, lingua estinta del gruppo germanico orientale, dauns significava sia ‘’legna da ardere’’ sia ‘’odore di legna bruciata’’.

Tutto questo, invero, ci riporta ad una cerimonia cha ha come tema la celebrazione della Dea Tellus, così che le ‘’pupe’’ rappresenterebbero nunzi divini discesi dal mondo supero, venuti giù a rendere omaggio alla Magna Mater, proprio in concomitanza dei Saturnalia, in onore del Dio Saturno, celebrazione della Aurea Aetas ‘’Età dell’oro’’.

Il Dio Saturno che diede inizio all’Età aurea nel Lazio Antico, proprio con l’agricoltura, dopo aver lasciato l’Olimpo per volere del Figlio, Giove, trovando asilo nella terra del Dio Giano, il Dio degli inizi.

A Dicembre si arano i campi, si procede alla semina, si augura alla terra di essere fertile, ubertosa.

La primigenia forza della vita che anima tutte le creature, animali e vegetali, è la forza di Fauno (dalla radice semantica *dhaun– ‘’essenza/spirito’’, a sua volta variante da dhūmos ‘’fumo/vapore/esalazione/spirazione’’[5]), che prorompe ovunque ed è inarrestabile, indomabile, selvaggia, flusso igneo, la cui presenza è rilevabile dai vapori o dal fumo; la terra, che ospiterà i semi, deve essere benedetta da Tellus; la forza dell’uomo, che la ara e la coltiva dal Dio Saturno, il ‘’Seminatore’’.

L’oscurità invernale, le piogge (December ‘’Decimo mese della pioggia’’), la nuda terra dissodata dal vomere (solco-vagina, vomere-phallus), sono il grembo materno; il vomere e la forza dell’aratore sono maritus ‘’fecondatore’’, ossia ancora vir ‘’uomo’’, che possiede vis, potenza maschile, patriarcale. Questo accadeva in tutto il mondo indoeuropeo (si pensi in parallelo ai/alle Kronia/Kroniai elleniche[6], a Jól/Jol/Jul/Yule nell’area germanica[7] etc.), ed accade ancora oggi, sebbene oscurato dal cristianesimo. Ma questa è Europa, ancora la nostra Europa[8].

Ora possiamo andare, non senza dare un sentimentale commiato ad Atri che gentilmente ci ha ospitato e fatto vedere le sue meraviglie, rimembrando con ‘’dolce amarezza’’, anche sussurrandole, le parole scritte da Paolo di Warnefrido, detto Diacono, in Historia Langobardorum (libro II, 19): … vetustate consumpta Adria, quae Adriatico pelago nomen dedit. ‘’… la logora di vecchiaia Atri, la quale al Mare Adriatico diede il nome’’[9].

Alessandro Daudeferd Bonfanti

 

 

[1] Edictum De Pretiis Rerum Venalium, emesso dall’Imperatore Gaius Aurelius Valerius Diocletianus (regnante dal 284 al 305) nel 301 a causa della crisi del III sec., periodo in cui le monete romane avevano subito i danni dell’inflazione dovuta al succedersi di molti Imperatori ed usurpatori che ne fecero coniare molte diminuendo così a lungo andare il loro valore. Un grosso frammento della lapide recante il testo dell’editto è oggi conservata ed esposta al Pergamonmuseum di Berlino.

[2] Ritengo opportuno precisare, sebbene ormai a metà dell’opera, che le originarie denominazioni delle Regioni augustee erano soltanto numerali (Regio I, Regio II, … III, … IV etc.), e solo le fonti accademiche attuali hanno cominciato ad assegnare all’originario nome ufficiale romano l’aggettivo che di volta in volta ne designa il territorio (Regio IV Samnium, Regio V Picenum, Regio VI Umbria et Ager Gallicus, etc.).

[3] Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, libro XIV, 8, 60.

[4] Vedasi pertanto, oltre alle fonti storiche: Andrew Dalby, Food in the Ancient World from A to Z, Routledge Ed., Londra 2013, pag. 171; Merton Sandler and Roger Pinder, Wine: A Scientific Exploration, CRC Press, 2002, pag. 66.

[5] L’esito radicale in Greco antico è θυμός, con th– < dh-; in Siculo dūmus, con d– < dh-; in Latino fūmus, con ph-/f– < dh-; in Celtico e Germanico, alla pari del proto-Illirico, e dunque del Siculo, abbiamo d– < dh-, come nel Gotico (Antico Germanico orientale) dauns ‘’odore di bruciato’’; mentre in ambito indo-iranico, in Sanscrito abbiamo dhūmas > dhūmaḥ (धूम), con dh– < dh– (da confrontare a sua volta con dūmas in Lituano, altra lingua del ramo indoeuropeo orientale/satəm, con d- < dh-). Pertanto si prenda in alta considerazione questo enunciato che ha valore di assioma: l’unità indoeuropea è unità linguistica perché tale unità è essenzialmente spirituale e culturale (Weltanschauung), ma prima di tutto sostanzialmente genetica; la genealogia delle lingue indoeuropee ne è semplicemente l’evidenza dell’unità genealogica, dunque genetica, ma osservata solo dal punto di vista linguistico, l’evidenza dell’unità spirituale e culturale, se tale unità è osservata solo dal punto di vista culturale, e l’evidenza dell’unità genetica in quanto tale nella sua essenza e sostanza.

[6] Per la quale i preparativi avevano inizio nel dodicesimo giorno del mese Ἑκατομβαιών, il mese delle ‘’ecatombi’’, dei sacrifici, che cominciava con la prima luna nuova dopo il Solstizio d’estate, dunque corrispondente oggi ad un arco temporale tra Luglio e Agosto. Gli antichi Elleni computavano gli anni a partire dal Sostizio d’estate, con 12 mesi di ventinove o trenta giorni ciascuno e, per allinearsi con la computazione stagionale, l’introduzione periodica di un mese intercalare. Questa celebrazione culminava con l’attesa del nuovo Αἰών ‘’Eone’’, corrispondente in Latino a Aevum (vedasi Marco Terenzio Varrone, De lingua Latina, libro VI, 2), Figlio del Dio Khronos/Kronos (vedasi Euripide, Eraclidi, v. 900: Αἰών τε Χρόνου παῖς), Patrono (Pantokrator e Kosmokrator, rispettivamente in: Papyrus Graecae Magicae, XII, 238 et passim; Papyrus Graecae Magicae, IV, 2194 et passim) immobile ed immutabile del tempo ciclico (vedasi Pindaro, Istmiche, VIII, v. 14 et passim: Αἰών intento a far girare la Ruota del tempo, il ‘’cammino della vita’’) ed eterno (Ophis Ouroboros), che appariva nel cielo (Ἐπιϕάνεια ‘’Epifania’’, letteralmente ‘’Che appare sopra/Manifestazione dall’Alto’’) nei primi giorni di Gennaio (all’alba del sesto giorno in epoca tardo-antica, nel sincretismo ellenistico-alessandrino che tributava la maternità alla Dea Kore, ed infatti il rito era officiato nel Koreion), nella seconda metà del mese dagli Elleni chiamato Ποσειδεών. Il rito era incentrato sul ritorno dell’Età dell’oro, con lauti banchetti, scambi di doni, ai quali partecipavano pure gli asserviti: il tempo in cui il Dio Crono/Saturno discese sulla Terra, che infatti fu Saturnia Tellus e dunque Kronia. Stessa cosa accadeva in Scandinavia in Jól, con grandi banchetti e lo scambio di doni onorando il Dio Heimdallr, teonimo che significa in lingua norrena ‘’[Signore] della Terra’’. Leggasi Lucio Accio, frammento n.3 (raccolto anche da Jan Nicolaas Bremmer in ‘’Ritual’’. Religions of the Ancient World, pag. 38); ma si lasci perdere quanto ha scritto quel Luciano di Samosata in Θεῶν διάλογοι e negli altri Dialoghi, autore siriano che come tutti gli ‘’eruditi’’ scrittori d’epoca tarda non ha fatto altro che sporcare l’Antica Tradizione europea con menzogne mostruose e laide tipiche delle sue origini. Personaggi come Luciano di Samosata, assieme a tutti gli altri suoi conterranei, tutti corruttori e falsificatori spudorati dell’Antica Tradizione europea, sarebbero stati condannati a morte nell’antica Ellade ai tempi di Erodoto, Eschilo e Tucidide. Che si sappia questo. I loro ‘’testi’’ sono sopravvissuti perché ‘’utili’’ alla ‘’causa’’ cristiana, o meglio dire giudeo-cristiana. Sul culto di Αἰών ‘’Eone’’ vedasi: Marie Louise von Franz, Psiche e materia, Torino, 2014, pag. 52; Epifanio di SalaminaPanarion, libro LI, 22, 3-11, citato in Johannes van Oort, Gnostica, Judaica, Catholica. Collected Essays of Gilles Quispel, Leidne, 2008, pagg. 258-259; Karl Wernicke, in August Friedrich Pauly-Georg Wissowa, Realencyclopädie des classischen Altertumswissenschaft, Vol. I, cc. 1042-1043, s. v.; Conrad Lackeit, ibidem, Supplem. III, 1918, cc. 64-68, s. v.; Wilhelm Kroll, ibidem, Supplem. IV, 1924, c. 11, s. v.; Wilhelm Heinrich Roscher, in Wilhelm Heinrich Roscher, Ausführliches Lexikon der griechischen und roemischen Mythologie, Vol. I, c. 195, s. v.; Georg Zoega, Bassirilievi antichi di Roma, Vol. II, Roma 1808, pag. 32 et passim, tav. LIX; Fritz Saxl, Mithras, Berlino 1931; Franz Valéry Marie Cumont, Textes et monuments figurés relatifs aux Mystères de Mithra, Vol. I, Bruxelles 1899, pag. 74 et passim; Franz Valéry Marie Cumont, op. cit., Vol. II, 1896, pag. 238 et passim, figg. 68-69; Raffaele Pettazzoni, La figura mostruosa del Tempo, in L’Antiquité Classique, Vol. XVIII, 1949, pag. 265 et passim; René Dussaud, Le dieu mithriaque léontocéphale, in Syria, Vol. XXVII, 1950, pag. 253 et passim; Doro Levi, Aion, in Hesperia, Vol. XIII, 1944, pag. 269-314 (in particolar modo per la documentazione figurativa). Anche in questo caso si segua questa bibliografia sempre con le dovute cautele. Fondamentale su Khronos/Kronos: Marco Tullio Cicerone, Rhetorica – De Natura Deorum, libro II, 64; Marie Louise von Franz, op. cit., Torino, 2014, pag. 52; Carlo SiniLe arti dinamiche: filosofia e pedagogia. Libro VI, Figure dell’enciclopedia filosofica, Milano 2005, pagg. 80-81. Per la definzione ed evoluzione del concetto di Αἰών dall’epoca omerica a quella romana vedasi: Conrad Lackeit, Aion. Zeit und Ewigkeit in Sprache und Religion der Griechen, Königsberg 1916.

[7] Dalla radice ancestrale kwehxk– ‘’ciclo/circolo/cerchio/ruota’’ al Norreno con Jól (< hjól < hweh3l, da cui poi anche la forma Yule, in uso nelle terre di diffusione dell’Anglo-sassone, indicante sempre ‘’Ruota’’ e dunque la fine dell’anno solare, il Solstizio d’inverno), al Norvegese hjul ‘’ruota/Natale’’ e Jol indicante il ‘’Solstizio d’inverno’’, al Danese/Svedese/Tedesco Jul, sempre con lo stesso significato, all’Inglese wheel ‘’ruota’’ e Yule, che come abbiamo visto è lemma arcaico per ‘’Solstizio d’inverno’’; e in contesto indoeuropeo al Latino con circus, al Greco antico con κύκλος, al Sanscrito con chakra (चक्र).

[8] Sull’argomento ho scritto un articolo che sarà pubblicato su un numero dell’anno 2022 della rivista di Cultura Tradizionale Atrium, a cura del Prof. Nuccio d’Anna del Cenacolo Pitagorico Adytum; ed ho preparato anche un libro, Saturnia Tellus, l’Età dell’oro che fu e che ha da venire.

[9] Paolo DiaconoHistoria Langobardorum, libro II, 19: Post Flamminiam duodecima Picenus occurrit, habens ab austro Appenninos montes, ex altera vero parte Adriaticum mare. Haec usque ad fluvium Piscariam pertendit. In qua sunt civitates Firmus, Asculus et Pinnis et iam vetustate consumpta Adria, quae Adriatico pelago nomen dedit. ‘’Dodici miglia a Sud della Via Flaminia e si giunge al Piceno, che ha [per confine] gli Appennini ad Occidente, dall’altra parte invece il Mar Adriatico. Questa regione arriva fino al fiume Pescara. In essa vi sono le città di Fermo, Ascoli, Penne, e pure Atri, logora di vecchiaia, la quale diede il nome al Mare Adriatico’’.