Durante l’età del ferro, mercanti greci e fenici provenienti dal mare ad Oriente e genti di stirpe osco – sabella che abitavano le aree interne alle pendici della Maiella (la madre dei popoli italici) si spostavano navigando lungo il fiume Sangro (il cui nome deriva dal lemma osco sangue/rosso), sfociando nel golfo di Venere – dove sorgeva Portus Veneris indicato ancora nel VI secolo dell’era comune dai documenti bizantini – per raggiungere Vicus Veneris, un’area sacra dedicata alla dea e posta su un promontorio che domina l’attuale Costa teatina dei trabocchi. Siamo nel comune di Fossacesia in provincia di Chieti.
Secondo la tradizione popolare su queste coste dell’Adriatico centrale sarebbe approdata Venere, madre di Enea, genitrice del Popolo Romano, divinità dell’amore, della bellezza e della fertilità, secondo Omero nata dal mare, più precisamente da una conchiglia, frutto dell’unione di Giove con la ninfa degli oceani Dione.
L’area sacra dedicata alla Dea è stata frequenta dai Frentani sicuramente fin dal VI – V secolo a.e.c., come dimostra la necropoli rinvenuta in loco e sulla quale ha effettuato studi la Soprintendenza archeologica di Chieti.
Nel I secolo a.e.c. nell’area venne poi eretto un tempio romano – italico consacrato a Venere per suggellare la pace e la concessione della cittadinanza romana alle genti italiche dopo la guerra sociale. Di questo tempio si persero le tracce e la sua presenza fino a qualche decennio fa poteva solo essere ipotizzata: oltre al toponimo “Venere” e a documenti del XV secolo che parlavano del culto della Dėa non v’era. Mancavano le testimonianze archeologiche certe. Le prove sono arrivate solo alcuni anni quando i lavori alla condotta idrica sul lato orientale del chiostro dell’attuale Abbazia di San Giovanni in Venere hanno fatto riaffiorare i resti di cinque grandi basamenti di colonne in pietra e di tre muri che formavano un porticato laterale. L’attuale abbazia è sorta quindi sul tempio romano di Venere.
Ma quale motivazione religiosa muoveva gli antichi visitatori che si sobbarcavano un lungo viaggio per raggiungere l’area sacra sul promontorio?
E’ ancora l’archeologia insieme alla tradizione popolare orale giunta fino ad oggi a darci le risposte I fedeli salivano fino alla sommità del promontorio per fare voto alla Dėa Venere Conciliatrice, depositando le loro richieste incise su tavolette in terracotta. Ne hanno rinvenuta una (insieme a uno scheletro) gli archeologici Adriano La Regina e Andrea Staffa, coadiuvati dall’allora soprintendente regionale Roberta Odoardi, contenente il responso di un oracolo in lingua osca che recitava: “Gli dei sono propizi con gli imminenti responsi alla persona più vicina”. Le giovani coppie, dunque, si rivolgevano all’oracolo della Venere Conciliatrice prima di unirsi in matrimonio affinché andasse tutto bene, le donne pregavano per la fertilità del loro grembo, gli uomini la consultavano prima di intraprendere un viaggio.
Il culto di Venere è così radicato a Fossacesia che oltre a sopravvivere nel toponimo dell’attuale Abbazia di San Giovanni “in Venere” (non a caso una delle mete attualmente preferite dalle coppie abruzzesi per le celebrazioni dei matrimoni), si conserva nella fonte omonima alimentata, secondo la tradizione, da una antica sorgente d’acqua sacra che alcuni collocano sotto il muraglione dell’abbazia, tra gli ulivi verso il mare, altri in un pozzo nascosto nella cripta dell’Abbazia. Probabilmente l’acqua nel pozzo della cripta e quella della fonte esterna vengono dalla stessa sorgente.
Nella Fonte di Venere veniva praticato, fino agli anni Sessanta del Novecento, l’antico rito magico – religioso dell’Ablutio, importato fino ai giorni nostri direttamente dalla notte dei tempi, allorché le donne andavano a bagnarsi per un auspicio di fertilità.
L’antico rito dell’Ablutio è sopravvissuto alle conversioni forzate e alla distruzione del tempio romano operate dai monaci benedettini che nella prima parte del VI secolo (l’abbazia fu iniziata nel 529) abbatterono anche una statua di Venere e riutilizzarono i marmi e le pietre del tempio materiali per costruire una cappella e l’alloggio per i frati (cellario). Iniziò allora un percorso che portò, a cavallo fra XI e XII secolo, l’istituto religioso a diventare, con le donazioni dei conti Teatini Trasmondo I e Trasmondo II (quest’ultimo anche duca di Spoleto) della dinastia degli Attonidi, quel potentato medievale che fu l’abbazia di s. Giovanni in Venere, fino ad arrivare ai giorni nostri con la gestione attuale dei monaci passionisti.
Non è un caso che la chiesa nata sui resti del tempio di Venere di Fossacesia sia stata dedicata a s. Giovanni, soprannominato il Battista, perché fu colui che secondo la tradizione cristiana battezzò Gesù: dunque il santo cristiano ha preso sincretisticamente il posto della Dėa Venere, ed è chiaro il riferimento all’Ablutio che veniva fino ad alcuni decenni fa compiuto nella fonte sacra di Vicus Veneris, in una continuità rituale che è arrivata fino all’età contemporanea.
La fonte di Venere è uno dei più grandi complessi monumentali pubblici di questo genere in Abruzzo ma è da tempo caduta nel degrado e non è attualmente visitabile.
Tuttavia presto tornerà a nuova vita perché c’è l’impegno esplicito di farla restaurare e riconsegnarle l’antico splendore da parte del sindaco di Fossacesia Enrico Di Giuseppantonio.
Cristiano Vignali
Per approfondimenti sull’area archeologica di Vicus Veneris si veda:
– Vito Sbrocchi, “San Giovanni in Venere, archeologia, arte, misteri e curiosità nel celebre complesso abbaziale”, La Voce Multimedia, 2017.
– Emiliano Giancristofaro membro della Deputazione Abruzzese di Storia Patria su “La Rivista Abruzzese”.
2 pensieri riguardo “La fonte di Venere Conciliatrice sulla costa dei trabocchi tornerà a vivere”
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