I culti di Venere, ma anche le Adonie nella genesi della prostituzione sacra

Arte etrusca, Anfora con komos (560 a.C. circa; ceramica a figure nere; Monaco di Baviera, Antikensammlungen)
Arte etrusca, anfora con komos (560 a.e.v.) – Monaco di Baviera, Antikensammlungen

La prostituzione sacra trovò ospitalità nell’ecumene tollerante di Roma (che mai tuttavia la condivise) per centinaia d’anni.

Se ne ha notizia sin dal sesto secolo avanti l’era comune e, limitandosi all’area mediterranea, veniva esercitata a beneficio soprattutto dei pellegrini nelle feste di alcune divinità, in particolare di Venere/Afrodite, ma anche in quelle più specificamente legate al suo paredro Adone.

La praticavano donne libere e con uomini stranieri, allo scopo di conquistare il favore della divinità per una vita coniugale felice e prolifica, offrendo in cambio i proventi di tale attività al tempio.

Si trattava di una ierogamia (matrimonio sacro) che, simboleggiando l’unione con la divinità, propiziava la fertilità. Le fanciulle erano infatti le intermediarie di Afrodite e accoppiandosi coi clienti, ma anche con i sacerdoti ufficiali del culto, ponevano questi e quelli in connessione con l’ultrasensibile.

Non abbiamo conoscenza del destino dei figli eventualmente nati dal “matrimonio sacro”: forse diventavano a loro volta futuri sacerdoti del culto, le fonti non ci aiutano.

Fatto sta che la pratica rimase in uso sino al quarto secolo dell’era comune dal momento che le fonti cristiane ne parlano e la condannano.

Abbiamo infatti notizie di prostituzione sacra non solo da autori classici, ma anche da scrittori cristiani, tra i quali Gerolamo, Cirillo, Procopio e Origene che si esprimono al riguardo ovviamente in modo negativo, ma ci presentano il vantaggio di fornire un elenco delle città dove era, ancora, in vigore tale usanza.

Sappiamo così che la prostituzione sacra è stata presente sicuramente, restando nell’ecumene romanizzato, a Pyrgi (Santa Severa, Roma), a Locri Epizefiri (Reggio Calabria), a Erice (Trapani), a Sicca Veneria (Tunisia), ad Afka, Biblo e Baalbeck (Libano) e infine nell’isola di Cipro.

Dall’analisi delle fonti emerge l’esistenza di norme specifiche e peculiari che regolavano la pratica.

Arte etrusca, Decorazione del vaso di Tragliatella (VIII-VII secolo a.C.; ceramica; Roma, Musei Capitolini)
Arte etrusca, decorazione del vaso di Tragliatella (VIII-VII secolo a.e.v.) – Roma, Musei Capitolini

Ad Erice, ad esempio, erano schiave del tempio che devolvevano i proventi della loro attività a favore delle casse del santuario, mentre nelle altre città menzionate la prostituzione sacra costituiva l’alternativa per quelle donne libere che non volessero tagliare i capelli in occasione della celebrazione delle cerimonie funebri del ciclo adonio, come viene chiaramente detto da Luciano nel suo De Syria Dea, 6. Va peraltro notato che il taglio dei capelli costituiva sia nel mondo greco che in ambiente fenicio una manifestazione di dolore per un lutto o una disgrazia di eccezionale portata, oppure come l’evidenza di una consacrazione del soggetto alla divinità o, ancora, come operazione facente parte dei riti connessi alla pubertà.

Per quanto riguarda il culto di Adone a Biblo disponiamo anche della testimonianza di Apollodoro che, in Biblo, III 14, 3, ci informa sulle origini dell’istituzione della prostituzione sacra in quella città, per un solo giorno nei festeggiamenti e con uomini stranieri. Le figlie del re Kinyras a Cipro avendo commesso un grave oltraggio nei confronti di Afrodite erano da questa state condannate a praticare tale ritualità con stranieri per espiare la colpa. E sarebbe stato proprio il padre Kinyras a fondare l’istituzione, non solo nel santuario di Paphos a Cipro, ma forse anche a Locri in Italia. Da ciò si dedurrebbe che tale istituzione sarebbe apparsa dapprima a Cipro e successivamente sarebbe stata adottata anche in altre città, sempre in contesti sacri ad Afrodite e Adone.

Da Locri proviene quello splendido puteale, conosciuto come Trono Ludovisi, risalente al sec. V a.C., sui lati del quale sono scolpite tre scene che sembrano proprio riferirsi ad un contesto di prostituzione sacra. Sulla faccia principale si vede una figura femminile emergente dall’acqua mentre altre due figure femminili, evidentemente, in posizione subalterna, collocate ai lati, le porgono un asciugamano che le lascia scoperto il busto. Quasi certamente si tratta di Venere/Afrodite, e non di Proserpina/Persefone emergente dall’Ade, poiché intorno alla figura è rappresentato l’elemento acqueo e non terreno, secondo, quindi, la classica tradizione della nascita di Afrodite dal mare. Ma le raffigurazioni che maggiormente interessano il nostro contesto si trovano sui lati. Sul fianco sinistro appare una donna nuda che suona un doppio flauto stando seduta su di un cuscino. Notoriamente, nell’arte greca la donna non viene mai raffigurata nuda, tranne per le figure divine di Afrodite o delle Baccanti, oppure quando si presentano delle prostitute. In questo caso non appare alcun elemento iconografico né sono presenti attributi che facciano classificare il soggetto raffigurato come Afrodite o una Baccante, non resta dunque che l’identificazione con una prostituta. L’altra faccia del puteale mostra una donna che, seduta su un cuscino, brucia grani di incenso in un incensiere, dichiarando perciò il contesto sacrale in cui si svolge la scena. Considerando, infine, l’ambito sacrale riferentesi ad Afrodite in cui sono inserite le scene e la nudità della donna, sul fianco sinistro, si deve concludere che siamo in presenza di una rappresentazione di scena cultuale nell’ambito della prostituzione sacra praticata nel santuario di Afrodite a Locri Epizefiri, come testimoniato dalle fonti.

Vicino ai templi sorgenti sulla riva del mare a Pyrgi, uno dei porti dell’etrusca Cerveteri, è stata trovata una fila di piccole stanze in cui figura un bancone in muratura con un rialzo su uno dei lati corti, addossato al muro, evidentemente la struttura di un letto su cui si trovava il materasso. Si è così potuto vedere concretamente quale fosse, almeno in questo caso, l’organizzazione logistica per l’espletamento di questa parte del culto, ed è stata confermata l’affermazione degli storici classici che ci parlano dell’esistenza della prostituzione sacra in questa zona.

Il mito di Adone e le sue feste

Morte di Adone, Sebastiano del Piombo, 1512, Galleria degli Uffizi
Morte di Adone, olio di Sebastiano del Piombo (1512) – Firenze, Galleria degli Uffizi

Myrrha, figlia del re di Biblo Kinyras, per un oltraggio ad Afrodite, viene punita con la condanna ad innamorarsi, incestuosamente, del padre. Non resistendo alla forza della passione, complice la nutrice, approfitta dello stato di ebbrezza del genitore, giacendo con questi nel suo letto. Quando il re si rende conto dell’accaduto, tenta di ucciderla, ma la fanciulla riesce a fuggire in un bosco inseguita dal padre furioso. Quando sta per essere raggiunta, prega di essere resa invisibile. Zeus impietosito, la trasforma nell’albero che da lei prenderà il nome come albero della mirra, le cui gocce rappresentano le lacrime della fanciulla. Allo scadere dei nove mesi dalla corteccia nasce Adone, caratterizzato da una bellezza sovrumana, che immediatamente viene preso da Afrodite, istantaneamente innamoratasi di lui. Per evitare che altri lo vedano, essa affida a Persefone il ragazzo, chiuso in una cassa. Ma anche Persefone si invaghisce di Adone, e quando Afrodite le chiede di riaffidarle il fanciullo ella cerca in tutti i modi di trattenerlo. Non dobbiamo dimenticare che Persefone è la dea del mondo dei morti e quindi essere affidati a lei significa entrare nell’aldilà. Infine Zeus risolve la disputa disponendo che Adone stia quattro mesi nell’Ade con Persefone, quattro mesi sulla terra con Afrodite e trascorra i restanti quattro mesi in un luogo di suo gradimento. Adone sceglie di trascorrere con Afrodite anche questi quattro mesi. Il felice idillio viene, però, tragicamente interrotto quando, durante una caccia, Adone viene ucciso da un cinghiale. Allora il dolore di tutti gli dei è grande, ma la disperazione di Afrodite è inconsolabile, essa scioglie i suoi capelli sul corpo del bellissimo ragazzo, piangendo e pronunciando le formule del cordoglio funebre più pietoso. La veglia su Adone morto è cantata da poeti di periodo ellenistico, quali Bione nel suo Canto funebre di Adone, ma anche da poeti latini quali Ovidio nelle sue Metamorfosi, X 722-27.

E’ evidente che ci troviamo di fronte all’esposizione in forma mitica del concetto filosofico-religioso della connessione ciclica vita-morte-vita esposto anche in diverse altre vicende mitiche del mondo indoeuropeo. La prima morte di Adone avviene nel momento in cui viene affidato a Persefone, ma periodicamente egli ritorna sulla terra ad una vita immanente ed ogni anno ritorna nel mondo infero. Così in eterno, a testimonianza del perenne ciclo della vita e della morte e della stretta connessione tra le due. Quando egli viene aggredito ed ucciso da un cinghiale muore definitivamente alla vita biologica terrena, ad indicare che il passaggio ad una dimensione invisibile, ma comunque reale, fa parte del ciclo naturale ed è ineludibile.

In tutto il mondo mediterraneo le feste di Adone venivano celebrate in primavera, tra aprile e giugno, per collocarle nel periodo dell’anno che meglio esprime visivamente questi concetti, che in realtà vanno ben oltre quanto esposto.

Le feste avevano una durata di tre giorni, rispettando il periodo in cui si verificava la morte annuale del dio. Si ritiene che la prostituzione sacra si svolgesse per tutti i tre giorni della Adonie.

Il compianto funebre prevedeva comunque processioni, lamentazioni e veglie, esattamente secondo la procedura seguita ritualmente nei funerali. Le statue della divinità venivano lavate, unte e profumate secondo quanto il mito racconta che aveva fatto Afrodite con Adone morto e come in effetti si faceva prodigando le ultime cure ai defunti. Al terzo giorno, alla resurrezione di Adone, le cerimonie prendevano un tono di grande gioia, le processioni erano festose.

Le fonti dicono che i festeggiamenti più belli erano quelli di Alessandria d’Egitto nel periodo ellenistico, dove le donne coltivavano in vasi piccole piantine che dovevano durare solo i tre giorni della morte del dio. Dai tetti delle case risuonavano i tamburi, luminarie e musiche riempivano la città. Ma qui non abbiamo traccia di prostituzione sacra.

Sandra Mazza