In Platone non c’è dualismo: mente e mondo sono in rapporto inseparabile

Socrate e Platone
Socrate e Platone

Avendo dedicato, e dedicando, per ragioni intrinsecamente demoniche, l’intera mia vita alla Romanità[1] ed al Platonismo[2], quali essenzialità, giuridico-religiosa l’una e filosofico-religiosa l’altro, dell’Europa; non potevo non essere attratto da un libro come quello di Alessandr Dugin Platonismo politico (Aga editrice 2020) e, per lo effetto, leggerlo con curiosità mista ad intima soddisfazione per il tema in sé. Premetto che quanto segue, non è una recensione al libro in questione, atteso che non amo redigere recensioni, si tratta invero di esplicitare alcune osservazioni che mi paiono necessarie in quanto le ritengo propedeutiche alla quaestio affrontata. Preliminarmente, se mi è consentito, intendo suggerire, all’amico Andrea Scarabelli, curatore dell’introduzione al volume, di evitare di commettere l’errore, in cui troppi sono caduti, nei secoli di studi e commenti sull’opera del Divino Ateniese, di attribuire alla Sapienza greca, ed in particolare a quella platonica, che è la sintesi di tutte le Conoscenze magiche e sacre delle varie Tradizioni dei Popoli del pianeta (concetto espresso dal platonico Pavel A. Florenskij[3]), sintesi di natura metafisico-religiosa e quindi operativamente iniziatica; di attribuire, pertanto, al pensiero tradizionale indoeuropeo punti di vista “dualisti” come si può evincere da quanto si dice testualmente (pag. 20 dell’introduzione): “…ma ciò non è importante: si tratta infatti di un’impasse di natura logica, non ontologica…”!

Ora per gli Elleni il logico (il Pensiero) è l’ontologico (l’Essere): “…e infatti la medesima cosa è il pensare e l’essere…” (Parmenide, Poema sulla natura, fr. 3) e mai, nemmeno per i Sofisti, anche il più azzardato ed apparentemente assurdo confronto dialettico è stato considerato o pensato come un “gioco” lontano dalla realtà vivente e, quindi, come crediamo noi – dopo due millenni di condizionamento mentale da parte del dualismo cristiano – inerente “solo” il pensiero inteso in senso cerebrale, individualistico e psicologistico, del tutto staccato ed estraneo nei confronti del Mondo.

Tutta la veneranda Filosofia greca, da Talete a Proclo, non ha mai visto e quindi conosciuto il Pensiero ontologicamente (cioè nella sua essenza) diverso, contrapposto o in conflitto con l’Essere, tanto che l’ateismo dommatico non è mai esistito e la negazione del Divino cioè dell’Essere viene considerata nella denkform greca, pura pazzia, demenza e stupidità (hýbris) poiché è negazione dell’Evidente, di Ciò che è massimamente visibile pur essendo Invisibile all’occhio volgare. Pertanto, se la negazione dell’Essere è la massima forma di demenza, cioè di assenza della Mente, l’Essere e la Mente sono in relazione attiva e passiva vicendevolmente, in quanto l’uno condiziona, modifica l’altro ed agisce sull’altro e al contrario e questo è lo stesso processo conoscitivo (diànoia) che sempre si perfeziona con la Visione (nòesis) nell’Istante (exàiphnes) che è l’Eterno (Platone, Lettera VII, 341c4-d2).  E sempre per la Sapienza greca (come anche per Spinoza, Hegel ed Evola: tutti e tre platonici!) è, in sostanza, il Conoscere se stessi! Tale è il significato profondo, esoterico del Gnòthi sautòn delfico: conoscere se stessi è conoscere pertanto il Divino che è in noi, e che siamo noi nell’essenza, Lui è il Pensiero, l’Intelligenza, il Nous, a Lui si deve essere simili e, quindi ciò equivale a conoscere il Mondo, l’Essere che è il Medesimo: il Pensiero, il Divino[4].

Infatti, sempre nel Dialogo Parmenide (132b), la “soluzione” concettualistica di Socrate che assimila le Idee a Noèmata cioè pensieri, è respinta categoricamente da Parmenide in quanto questi rivendica la concezione oggettivistica, tipicamente greca e quindi indoeuropea, dell’atto noetico il quale non sarebbe possibile senza l’ammissione di una entità esterna (l’Idea) alla quale si rivolge: le Idee, pertanto, sono Essenze oggettive e trascendenti le cose sensibili, esistenti a prescindere dall’uomo, non “create” dallo stesso ed aventi con l’Anima del medesimo una parentela di similitudine attraente di natura solare come è quella dell’occhio e della Luce, tale che lo stesso processo conoscitivo non è altro che un rapporto tra vasi comunicanti che comunicano tra loro lo Spirito medesimo, per l’appunto comune! Infatti noi vediamo e conosciamo solo Idee, Forme e Vita poiché siamo Idee, Forme e Vita: si è ciò che si conosce e si conosce ciò che si è; “il simile è conosciuto solo dal simile”, insegna, infatti, Empedocle (DK31b, fr. 109). Tutto ciò, cioè il fatto che le conclusioni aporetiche della seconda parte del Parmenide non siano, come anche Dugin pensa (“…la seconda tesi è falsa, si basa su un gioco speculativo dell’intelletto…”), (pag. 52), delle elucubrazioni esistenti “solo” nella mente e quindi “solo” logiche, ma siano invece delle forme reali, oggettive e, nella fattispecie della seconda tesi (se l’Uno non è), terribilmente oscure, essendo negazione dell’Essere (l’Uno) e degli Enti che sono i Molti e cioè del Cosmo e quindi forme concrete, oggettive di realizzazione del nichilismo; è talmente evidente che lo afferma esplicitamente proprio Platone al termine del Parmenide (166c), traendo le conclusioni del Dialogo, dove afferma che “se l’Uno non è, niente è”! (ecco il nichilismo di cui correttamente tratta il Dugin nel testo e tale ideologia della morte, come esplicita Platone già ventitre secoli addietro, non è un “gioco speculativo dell’intelletto”, ma bensì una reale desertificazione del Mondo e dell’Anima ed è la Modernità…); ma Platone aggiunge e chiude il Dialogo, precisando ancora una volta che tutta la  immane ascesi iniziatica dello stesso, è relativa esclusivamente a realtà oggettive quali l’Uno e gli Enti ed ai loro “predicati” che sono o non sono, appaiono o non appaiono in relazione sempre all’Uno se è o non è! Il Parmenide, infatti, è il Dialogo che ha per tema l’Essere che è l’Uno e gli Enti, i Molti, che sono le Idee, quindi il Logico che è l’Eterno: tra il Parmenide ed il Timeo che ha per oggetto il Mito che è il racconto verosimile del divenire del Mondo, c’è lo stesso rapporto che vi è tra la Scienza della Logica e la Fenomenologia dello Spirito di Hegel[5], infatti  la prima “…sono i pensieri di Dio…”, per dirla con le parole dello stesso Hegel, e la seconda è il cammino della coscienza cioè il processo iniziatico della stessa che la conduce all’Eterno che è il Logico!

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Tale discorso, che può apparire anche estraneo al tema in questione, lo ritengo invece enormemente pertinente e necessario e mi induce ad evidenziare, ancora una volta, che, per affrontare anche la dimensione “politica” del Platonismo, operando però una astrazione tipicamente moderna, in quanto Platone è Tutto, è l’Intero; ellenicamente non esistendo il dualismo, la sua dottrina è quindi Conoscenza del Divino ed effettuale Arte del Governo degli animi; è evidente, atteso tutto ciò, la obbligatorietà della Iniziazione a Platone! In buona sostanza si tratta di una autentica metànoia cioè di un “riposizionamento dello sguardo, del punto di vista, onde, forse, giungere di poi alla Visione; è un cambiare radicalmente il modo e la natura di come si guarda e si conosce se stessi ed il Mondo in una parola: essere un altro uomo per essere ciò che si è sempre stati ma non sapendolo; e tutto ciò è propedeutico, nel significato etimologico del termine, cioè a favore della paideia che è la formazione spirituale e fisica del fanciullo affinché sia uomo e cittadino, governante e governato: questo è Platone e questa è ancor di più la Tradizione Platonica che è la Tradizione Romano-Platonica dell’Occidente!

Se non si esce dal Dualismo che è la malattia, il Male (la Dualità di grande e piccolo, l’àpeiron, la Chòra), se non si vedono gli Dei che sono le Idee (Vincenzo Cilento affermava[6]: “i Greci non credevano negli Dei, perché li vedevano!”), se non si vede l’Invisibile, è non solo inutile ma anche dannoso parlare di Platone; nel senso che non si opera per il Bene cioè per la Tradizione, anche se si è in totale ed intrinseca buona fede. In molti dei miei libri[7] ho tematizzato tali questioni ed ho cercato di aiutare il lettore (che non deve essere solo tale) a risvegliare l’uomo arcaico che dorme dentro di noi: ho sempre ritenuto che sia radicalmente necessario avviare alla Iniziazione platonica che è innanzitutto il vedere con gli occhi di Platone, che sono gli occhi dell’uomo omerico, a vivere e ad essere, in buona sostanza, la sua Visione del Mondo; e ciò che si deve assolutamente evitare, come la più pericolosa delle tentazioni sataniche, e che il tutto si riduca a erudizione e “conoscenza” libresca.

Mi sembra superfluo affermare che tutto ciò è di una tale difficoltà spirituale e animico-emotiva  da far tremare i polsi tanto da ritenerlo impossibile ad eventuarsi ma, in tale Età Oscura avanzata, comunque, sono convinto che sia meno inaccessibile di quanto non lo sia stato in altre epoche; rebus sic stantibus, è questa la Via e non ve n’è altra: un opus remotionis eroico e magico (nel significato  evoliano del termine) di tutte le incrostature e le lordure della modernità sì da rendere l’animo aperto e disposto all’incontro con chi altro se non con Se stesso e cioè con l’Essere nella sua totalità (Pantelòs) che è Intelligenza, Anima, Vita e Movimento[8]; ovviamente qui non intendo assolutamente affermare che libri come quello del Dugin non possano e non debbano sollevare qualche dubbio o indurre a porsi la Domanda fondamentale (nel senso in cui la intende Heidegger) sì da condurre verso la Via del Cammino, che è di tutta la vita e, forse, anche oltre; ma ribadisco che la Piramide senza il vertice, che è l’Uno invisibile e che si può declinare solo apofaticamente, non ha Origine e quindi essa incarna l’ipotesi in cui l’Uno non è e, pertanto, è quella riprodotta sul dollaro!

Giandomenico Casalino

 

NOTE

 [1] G. CASALINO, Aeternitas Romae. La via eroica al Sacro d’Occidente, Genova 1982; IDEM, Il sacro e il diritto. Saggi sulla tradizione giuridico-religiosa romana e la crisi della modernità, Lecce 2000; IDEM, Il nome segreto di Roma. Metafisica della romanità, Roma 2003; IDEM, Res publica res populi. Studi sulla tradizione giuridico-religiosa romana, Forlì 2004; IDEM, Tradizione classica ed era economicistica. Idee per la visione del mondo, Lecce 2006; IDEM, Le radici spirituali dell’Europa. Romanità ed ellenicità,Lecce 2007; IDEM, L’essenza della romanità, Genova 2014; IDEM, La spiritualità indoeuropea di Roma e il Mediterraneo, Roma 2016; IDEM, Sigillum scientiae. L’essenza vivente ed ermetica della romanità ed il platonismo, Taranto 2017.

 [2] G. CASALINO, La prospettiva di Hegel. Circolarità e compiutezza del sapere come pensiero arcaico-ermetico, Lecce 2005; IDEM, L’Origine. Contributi per la filosofia della spiritualità indoeuropea, Genova 2009; IDEM, Lo specchio del mondo. Studi e saggi nel cammino del pensiero, Lecce 2010; IDEM, La Conoscenza suprema. Essere la concretezza luminosa dell’Idea, Genova 2012; IDEM, Sul Fondamento. Pensare l’Assoluto come Risultato, Genova 2014, IDEM, Hegel, Evola e la conoscenza del Divino. Studi sulla teosofia platonico-ermetica, Genova 2018.

 [3] P. A. FLORENSKIJ, Realtà e mistero, Milano 2013, pp. 19 ss..

 [4] PLATONE, Alcibiade maggiore, 133c.

 [5] G. CASALINO, Hegel , Evola e la conoscenza del Divino, cit., Genova 2018, pp. 7 e ss..

 [6] V. CILENTO, Comprensione della religione antica, Napoli 1958, p. 75.

 [7] G. CASALINO, La prospettiva di Hegel, cit; IDEM, Tradizione classica ed era economicistica, cit.; IDEM, L’Origine, cit.; IDEM, Lo specchio del mondo, cit.; IDEM, La Conoscenza suprema, cit.; IDEM, Sul Fondamento, cit.; IDEM, Sigillum scientiae, cit.; IDEM, Hegel, Evola e la conoscenza del Divino, cit..

 [8] PLATONE, Sofista, 248c 249a.