Indoeuropei, ma non solo: ciò che ha reso speciali i Latini è l’assimilazione

 

Espansione indoeuropea
Espansione indoeuropea

È noto che il latino ha un’origine indoeuropea e ciò induce giustamente a credere che anche la nostra cultura sia radicata in questa vasta famiglia di popoli inizialmente nomadi che hanno invaso l’Europa a più ondate nel tempo. Tuttavia, i racconti della fondazione di Roma e del regno non descrivono un popolo di nomadi senza conoscenza dell’agricoltura, ma una civiltà stanziale con una religione che copriva indubbiamente anche aspetti agresti. La trasformazione dei Latini è il risultato di un lungo processo culturale durante il quale i nomadi indoeuropei hanno rielaborato ed adattato al loro pensiero elementi delle popolazioni preesistenti. I Latini che fondarono Roma raccolsero l’eredità di culture millenarie amalgamandola con la componente indoeuropea.

Che cosa sappiamo oggi dell’Europa prima dell’arrivo degli indoeuropei?  Circa 12000 anni fa nella Mezzaluna Fertile per la prima volta alcune popolazioni iniziarono a coltivare la terra. Il progenitore dell’odierno grano aveva l’ottima caratteristica di potersi conservare, una volta raccolto, per lungo tempo, ma per usufruire di questa fondamentale qualità occorreva costruire zone di stoccaggio. Fu così che i primi agricoltori cominciarono ad edificare ripari permanenti, abbandonando il nomadismo.

Sulla base dei ritrovamenti archeologici, l’agricoltura si estese lentamente assieme alle genti che la praticavano, ossia non ci fu un’invasione dell’Europa da parte dei primi coltivatori, ma un’espansione delle tecniche agricole. Infatti le prime tracce del neolitico apparvero nel sudest europeo appena nel 7000 a.e.v., quindi occorsero tremila anni prima che l’agricoltura bussasse alle porte del nostro continente. La penisola balcanica, che fu la prima ad ospitare il neolitico europeo, fu a sua volta il punto di partenza per una nuova espansione in due direzioni. Alcune genti seguirono le valli del Danubio e del Reno, verso le regioni dell’odierna repubblica Ceca, della Francia e dell’Olanda, altre seguirono le coste del mediterraneo, passando per la Grecia, l’Italia, la Francia meridionale e raggiunsero la Penisola Iberica.

L’espansione verso l’Europa Centrale è stata ricostruita attraverso i ritrovamenti della cosiddetta Cultura della Ceramica Lineare, dove le ceramiche presentano incisioni ornamentali di linee rettilinee e le collane sono abbellite con conchiglie di tipo Spondylus. Il ritrovamento più antico risale al 5300 a.e.v. nella penisola balcanica con la cultura Vinča per poi seguire verso la Francia, il Belgio e i Paesi Bassi con un tasso di espansione medio di 4 km all’anno. Questa cultura fu anche assorbita dalle popolazioni mesolitiche della Danimarca, sicché nel V millennio c’era una vasta area con una cultura uniforme. Dobbiamo immaginare un mondo con enormi distese naturali, boschi, foreste e prati, un paesaggio senza strade, con una popolazione mondiale pari a circa un millesimo di quella odierna, e l’intera Europa probabilmente era abitata da una popolazione equivalente a quella dell’odierna Torino, per cui verosimilmente le migrazioni che fecero propagare la Cultura della Ceramica Lineare erano effettuate da gruppi di qualche decina o al massimo centinaia di individui. Nell’Europa centrale, nel corso del V millennio si generò una rete di scambi commerciali di grande estensione, tra la Danimarca e la Repubblica Ceca e i Balcani.

Tomba a circolo nella necropoli di Fossa (AQ)
Tomba a circolo nella necropoli di Fossa (AQ)

L’espansione neolitica avvenne anche lungo le coste del Mediterraneo, toccando così la penisola italiana. Anche in questo caso gli archeologi identificano la cultura sulla base dello stile delle ceramiche. Questa cultura è caratterizzata da una ceramica impressa a crudo tramite una conchiglia “Cardium”, da cui il nome di Ceramica Cardiale. Questa cultura comparve in Puglia, in Irpinia e Basilicata nel 5500, estendendosi fino alla Liguria, la Francia mediterranea e la Spagna. Nell’Italia Centrale tra il Tevere e l’Arno, tra il 4000 e il 3500 a.e.v. dominava la cultura della ceramica cardiale i cui manufatti presentano una grande affinità con quelli rinvenuti in Corsica e in Sardegna.

Appare evidente che anche l’Europa meridionale in quei tempi fosse abitata da una cultura abbastanza omogenea. Che cosa sappiamo sullo stile di vita di quelle genti? Si pensa che fossero popolazioni pacifiche perché i centri abitati non erano fortificati e inoltre si trovavano in pianura, non sulla cima di colli. Le palizzate trovate sembrano piuttosto per la difesa dagli animali, o per evitare che il bestiame potesse scappare. Erano agricoltori ma avevano anche animali domestici, pecore, capre e maiali e comunque andavano a caccia e a pesca. Vivevano in case di legno dai 40 ai 100 metri quadri, con due o tre stanze. Conoscevano il rame e usavano l’oro, per utensili e ornamenti, ma non per le armi in quanto questi metalli sono troppo teneri. Erano ottimi vasari, tanto che oggi utilizziamo i vasi per distinguerne le loro culture, ed erano maestri nella policromia. Sulla loro società non si sa molto, ma sembra che non fossero divisi in classi. Sono stati rivenuti molti oggetti e disegni ad uso probabilmente religioso, come spirali rosse, vasi a forma di uomo o di uccello, o di altri animali. Lucerne, cucchiai e figurine della Dea Serpente o della Dea Uccello, oltre alle numerosissime veneri. Si crede che quella società venerasse principalmente una divinità femminile, una Grande Madre, e che fosse di tipo matriarcale. La divinità femminile era legata ai cicli della terra e della luna e forse questa dea si chiamava Ana o Dana: sono state rinvenute numerose decorazioni con motivi di vulve, seni, immagini sacre femminili.  Effettivamente l’importanza della donna nella società etrusca potrebbe avere una derivazione pre-indoeuropea. Gli Etruschi potrebbero infatti essere un popolo discendente dagli abitanti neolitici. Oltre agli Etruschi, ci furono altre popolazioni pre-indoeuropee in Italia di cui siamo a conoscenza: i Reti, i Camuni, i Liguri, i Sicani e gli antichi Sardi della civiltà nuragica.

I Reti furono una popolazione linguisticamente affine a quella etrusca. Essi vivevano in una zona compresa tra l’Alto Adige, la Svevia, la Baviera e la Slovenia. I Reti nei secoli subirono l’influsso dei Celti, mentre gli Etruschi vissero sotto la sfera di influenza latina. Il popolo dei Camuni dimorava in val Camonica e secondo l’alfabeto usato e le iscrizioni rinvenute apparteneva alla famiglia dei Reti e degli Etruschi: ci hanno lasciato più di 300 000 incisioni rupestri. I Liguri inizialmente occupavano il nordovest della penisola italiana. Già nell’antichità si dibatteva sulla loro  origine e ancor oggi sussiste il dubbio se siano stati pre-indoeuropei o indoeuropei. È verosimile che si tratti di una popolazione pre-indoeuropea che poco alla volta si mescolò con gli indoeuropei Celti. Quando arrivarono i Romani, trovarono una popolazione mista, con preponderanza di Liguri a sud e di Celti a nord. Secondo gli storici greci, i Sicani abitavano la Sicilia ed erano giunti dalla penisola iberica o dal confine tra Gallia e Italia, sospinti dai Liguri. Infine, la civiltà nuragica in Sardegna, da uno studio basato sui toponimi, sembrerebbe anch’essa pre-indoeuropea, imparentata con il basco e le lingue iberiche.

Secondo le conoscenze odierne, i Latini entrarono nella penisola nel II millennio a.e.v. con i Siculi e gli Enotri o Itali. Nel I millennio a.e.v. ci fu una seconda ondata indoeuropea con l’arrivo di Veneti, Umbri, Sanniti, Sabini e Messapi. Comunque sia stato, i Latini assorbirono le popolazioni preesistenti, che probabilmente avevano una continuità culturale con le popolazioni del neolitico. Purtroppo, con l’eccezione degli Etruschi, abbiamo pochi documenti che testimoniano le lingue perdute. Nel caso degli Etruschi, il corpo degli scritti è ampio ma non abbastanza da permettere una ricostruzione completa della lingua.

È interessante menzionare il caso della scrittura della cultura Vinča. Alcuni reperti, databili tra il VI e il IV millennio a.e.v. presentano un ampio repertorio di segni rettilinei che potrebbe essere una scrittura, usata a scopi rituali e religiosi. Una cinquantina di questi segni sono uguali a quelli che compaiono nel lineare A di Creta, la scrittura utilizzata dalla civiltà minoica. Siccome questi scritti cominciano a comparire a Creta dopo la scomparsa della civiltà Vinča, terminata probabilmente a causa delle invasioni indoeuropee, si potrebbe ipotizzare che i fuggitivi abbiano portato la scrittura a Creta. Se veramente la civiltà di Vinča conosceva la scrittura, allora questa sarebbe apparsa in Europa precedendo di duemila anni l’invenzione della scrittura da parte dei Sumeri.

Nel territorio europeo, le lingue pre-indoeuropee furono assorbite da quelle indoeuropee con un’unica eccezione: a ponente si è salvata l’isola basca, resistendo eroicamente nei millenni alla sfera francese a nord e spagnola a sud. In Europa ci sono altre lingue non indoeuropee: il finlandese e l’estone, la cui origine non è relazionata al neolitico europeo, e l’ungherese, che è giunto in Europa in età storica. Il basco dunque fornisce linguisticamente un unico esempio in tutto il continente.

 

Mura poligonali di Arpino
Mura poligonali di Arpino

Pur non avendo documenti scritti, è ancora possibile identificare parole conservatesi dal mondo pre-indoeuropeo attraverso il latino e l’analisi comparata di altre lingue. Il proto-latino della popolazione indoeuropea si sarebbe mescolato ed arricchito con la lingua della popolazione locale già esistente. Questa lingua è definita tecnicamente “sostrato”. Non solo i Latini ma vari popoli indoeuropei avrebbero accolto nella loro lingua termini locali del linguaggio anteriore.  Le parole sospette sono quelle che, per esempio, si riscontrano solo in una lingua indoeuropea ma non in altre, poiché ci si aspetta che se un vocabolo è indoeuropeo, si sia trasferito a più lingue derivate. Inoltre le parole indoeuropee obbediscono a certe regole di formazione (disposizione di consonanti e vocali, tipo di consonanti, eccetera): se una parola si allontana da queste regole generali, è sospettata di essere stata assorbita da un’altra lingua. Le parole che meglio si prestano ad essere accolte, sono quelle relative a tecnologie o flora e fauna sconosciute agli invasori al momento del loro arrivo. Per esempio un Latino avrà chiesto a un indigeno: “Che cos’è questa pianta?” e avrà appreso che i locali la chiamavano “menta”. Altre parole in italiano che hanno un’antica origine pre-indoeuropea sono: origano, rosa, giglio, fico, violetta, lauro, asino, mulo, lepre, piombo, ferro, e anche vino, che ovviamente è legato alla produzione agricola. Altre radici pre-indoeuropee ricavate dalla toponomastica sono *kar, pietra, da cui deriva per esempio “Carso”, e *lap/*lab, anch’esso pietra, da cui deriva lapis e forse anche labrys, l’ascia rituale.

La parola latina “urbs”, l’urbe, deriverebbe dal sostrato. Anzi, in questo caso, si potrebbe addirittura individuare una coincidenza con l’antico sumero “ur” e il basco “uri” che vogliono appunto dire “città”. Il basco e il sumero potrebbero forse essere in qualche modo lingue parenti nella cultura pre-indoeuropea. In greco esiste il termine di probabile origine minoica labyrinthos (labirinto) dove si potrebbero identificare *lab – *ur-, “città di pietra”, tuttavia ci sono molte teorie diverse su questa etimologia.

Per quanto le origini indoeuropee di Roma non possano essere messe seriamente in discussione, tuttavia il loro peso culturale è stato sopravvalutato. Per esempio le differenze presenti in età antica tra Latini, Germani e Slavi sono notevoli e solo l’analisi linguistica in età moderna ha messo in rilievo la loro comune origine. Si trattava di popoli molti diversi, con società differenti e religioni difficilmente confrontabili. Ciò che ha reso speciale il popolo dei Latini non è quindi solo la loro provenienza indoeuropea ma il loro percorso culturale, la loro trasformazione attraverso il contatto prolungato con culture millenarie preesistenti lungo quei secoli di cui non abbiamo nessuna testimonianza scritta, ma muti reperti che cercano di raccontarci una storia ancora da scoprire.

Mario Basile