Lo spezzatino dell’archeologia. Un appello contro la riforma Franceschini

maxresdefault E’ come se l’Arabia Saudita delegasse gli architetti e non gli ingegneri all’estrazione del grosso del suo petrolio. Col risultato di fermare, di fatto, i prelievi.

Così rischia di diventare, per l’archeologia italiana, la riforma del dicastero dei beni e delle attività culturali voluta dall’ex ministro (piddino) Dario Franceschini: un congelamento progressivo di tutte le attività di scavo,  con pesantissime ripercussioni su un settore d’eccellenza nazionale. Una vera operazione “Tafazzi” (il personaggio del trio Aldo, Giovanni e Giacomo).

Lo sostengono, non senza dovizia di argomentazioni, tredici ex direttori generali e soprintendenti all’archeologia italiana i quali hanno recentemente pubblicato un accorato Appello per il riordino del sistema archeologico del ministero. I loro nomi sono Luigi Malnati, Stefano De Caro e Anna Maria Reggiani, già direttori generali alle antichità, Adriano La Regina, Pietro Giovanni Guzzo, Anna Maria Moretti, Jeannette Papadopoulos, Raffaella Poggiani Keller, Francesco di Gennaro, Luigi Fozzati, Giulia, Bruno Massabò, Maria Luisa Nava, Annalisa Zarattini, tutti ex soprintendenti archeologi. All’Appello hanno aderito già oltre milleduecento professionisti del settore, tra dirigenti, funzionari , archeologi in pensione o in servizio al ministero, nei musei civici, nelle università, negli istituti di ricerca, archeologi professionisti, imprese di archeologia, associazioni di categoria, appassionati d’archeologia. Tra le firme anche Vittorio Sgarbi e Salvatore Settis.

L’Appello https://www.inasaroma.org/appello-agli-archeologi-2/ chiede il ripristino delle soprintendenze archeologiche (ora accorpate in un unico calderone superprovinciale), il riaccorpamento dei musei alle soprintendenze e il ritorno ai concorsi pubblici (al posto delle attuali selezioni discrezionali) per gli incarichi di vertice.

Cosa è accaduto? In buona sostanza l’archeologia italiana, la più strutturata e la più all’avanguardia del mondo – nata addirittura nel 1515 quando il papa Leone X nominò Raffaello Sanzio prefetto alla antichità di Roma, e passata per l’editto del cardinal Pacca del 1830 che istituì il primo sistema di scavi, per la suddivisione delle soprintendenze stabilita nel 1904 da Vittorio Emanuele Orlando, per la legge Bottai del 1939 che sancì la “tutela” dei beni culturali e infine per l’istituzionalizzazione dell’archeologia preventiva da parte del ministro Urbani nel 2005 – ha subito da Franceschini un tale smembramento da macelleria istituzionale che rischia di soffocare per sempre la ricerca del nostro passato di pietra. E come noto, l’archeologia è buona parte del “petrolio italiano”, un tesoro inestimabile.

Luigi Malnati, primo firmatario dell'Appello agli archeologi
Luigi Malnati, primo firmatario dell’Appello agli archeologi

Primo firmatario dell’Appello per la “controriforma” è il citato Luigi Malnati, noto archeologo, bergamasco, già direttore generale alle antichità e già responsabile della soprintendenza unica di Bologna, uno dei nuovi ircocervi superprovinciali che unificano la vecchia tripartizione in beni archeologici, artistici, architettonici. Per Malnati – che ha quindi sperimentato sul campo il disastro del nuovo sistema organizzativo – il primo problema è proprio la soprintendenza unica: “Il patrimonio archeologico non è costituto solo dai parchi e dai reperti, ma soprattutto dai contesti del sottosuolo”, ha dichiarato nei giorni scorsi a La Verità; “se a guidare la soprintendenza non è un archeologo, per eseguire gli scavi passeranno le offerte al ribasso, col rischio o di perdita irreversibile di reperti o di stop ai lavori per rinvenimenti prevedibili. Se invece il soprintendente è un archeologo, come è stato il mio caso, avrà il senso di colpa di non aver avuto tempo di seguire i procedimenti di carattere architettonico ambientale o di storia dell’arte”.

Poi, c’è il problema dell’estensione delle stesse soprintendenze: prima della riforma Franceschini quella archeologia era a respiro regionale, con un unico laboratorio, un unico archivio, un unica biblioteca, un unico magazzino. Le nuove strutture sono più piccole e sbriciolano letteralmente l’organizzazione perché ora alcune sono “nude” e altre “attrezzate”. E meno male che non c’è ancora stato lo smembramento ed il trasporto dei materiali da una città all’altra che, oltre a costare una follia, non ha logica.

Ancora, i poli museali, altro ircocervo. Da una parte sono nati i grandi musei autonomi, dall’altra i poli museali: si tratta di strutture organizzative che smembrano ulteriormente l’archeologia che si trova così un po’ nelle soprintendenze, un po’ nei poli e un po’ nei parchi archeologici, con tutto il disagio che ne deriva per chi deve organizzare attività uniformi sul territorio. “Prima della riforma – ha continuato Malnati – se volevo fare una mostra sugli etruschi dovevo interpellare tre organismi; ora devo trattare con tre soprintendenze emiliane, quattro toscane, un paio laziali, tre poli museali e quattro grandi musei”.

Ma vi sembra normale?

Infine l’Appello chiede che si torni ai concorsi pubblici per le nomine dei vertici delle strutture organizzative al posto dell’attuale processo di selezione, che lascia troppa discrezionalità al ministro pro tempore, e il ripristino della direzione generale archeologia.

Il 26 gennaio 2019 Malnati, forte della valanga di sottoscrizioni, ha inviato una lettera al ministro Alberto Bonisoli (cinquestelle). “Siamo convinti – scrive – che la situazione indotta dalla riforma possa essere corretta e, se si interverrà in modo tempestivo, ciò possa realizzarsi senza aggravio di spesa significativo per sedi e costi del personale; siamo altresì convinti che ministero e parlamento debbano lavorare per riportare l’archeologia italiana al livello altissimo che ci è sempre stato riconosciuto a livello internazionale, tanto che il nostro sistema di tutela, nato all’inizio del Novecento, è stato imitato da molti altri stati come la Francia, la Spagna o la Germania, nonché da paesi come la Grecia e la Turchia, che conservano patrimoni archeologici simili al nostro. Le chiediamo quindi un incontro con una nostra rappresentanza per potere meglio illustrarle di persona la situazione descritta, che molti di noi hanno sperimentato direttamente”

Speriamo bene!

Paolo Casolari