Le Metamorfosi di Ovidio: l’inerte e passiva molteplicità del Caos (2)

Stefano Busonero, Caos
Stefano Busonero, Caos

I, 1-4 “Introduzione”

In nova fert animus mūtātās dīcere formās

corpora: dī, coeptīs (nam vōs mūtāstis et illās)

adspīrāte meīs prīmāque ab orīgine mundī

ad mea perpetuum dēdūcite tempora carmen.

Traduzione(*)

Il mio animo s’inclina a parlare della trasformazione delle forme in nuovi corpi: o dei, assistete la mia impresa (infatti voi avete trasformato anche le forme) e accompagnate sempre il mio poema, dalla prima origine del mondo fino ai miei tempi.

Commento

Publius Ovidius Naso, che chiameremo familiarmente Ovidio, aveva una caratteristica peculiare, unica, di enorme valore: era un essere umano normale. Egli non camminò sui laghi, non resuscitò morti, non separò le acque del Tevere per far passare solo gli amici e trucidare i nemici; insomma, non fece miracoli. Ovidio era uno di noi. Si sposò tre volte, quindi lo immaginiamo nella sua vita quotidiana, mentre costruisce e disfa relazioni. Cadde in disgrazia a corte e fu mandato in esilio. La sua opera piccante “Ars Amatoria” è un’apologia del tradimento dove si presenta un utile vademecum per la seduzione in luoghi pubblici. Immagino che sarebbe stato un grande compagno di avventure, un piacevole ospite serale. In sintesi, Ovidio non è il tipico profeta che urla nel deserto, ma un simpatico poeta, capace di godersi i piaceri della vita e nello stesso tempo di affrontare e meditare sui temi profondi e complessi delle Metamorfosi.

Le Metamorfosi non sono un testo sacro, ma un poema dove l’autore chiede dai primi versi ausilio agli dei (Dī, adspīrāte et dēdūcite) per stilare la sua opera. La richiesta di aiuto ha una base razionale, infatti sono gli dei stessi che hanno “trasformato” le forme in corpi, quindi chi meglio di loro può aiutare a comprendere l’accaduto?

Nel paradigma del politeismo classico non ci sono creatori, ma dei che trasformano e plasmano la realtà. Non credo sia un caso che si parli della trasformazione (o mutamento) delle forme, la metamorfosi, (mūtātās formās in nova corpora) secondo quanto era accettato non solo dai filosofi Neoplatonici ma da gran parte della cultura del tempo. Il Demiurgo è l’ordinatore del cosmo (κόσμος significa anche ordine in greco), non il creatore.

La domanda a cui risponde Ovidio non è “chi ha creato il mondo”, ma:

Come hanno plasmato gli dei il mondo, dalle origini dell’universo fino ad oggi, dalle forme (eterne) al piano sensibile e mutevole?

I, 5-12 “il Caos”

5. Ante mare et terrās et, quod tegit omnia caelum

ūnus erat tōtō nātūrae vultus in orbe,

quem dixēre Chaos, rudis indīgestaque mōles

nec quicquam nisi pondus iners congestaque eōdem

non bene iunctārum discordia sēmina rērum.

10. Nullus adhūc mundō praebēbat lūmina Tītan,

nec nova crescendō reparābat cornua Phoebē,

nec circumfusō pendēbat in āëre tellūs

ponderibus lībrāta suīs, nec bracchia longō

margine terrārum porrexerat Amphītrītē,

15. utque erat et tellūs illīc et pontus et āër,

sīc erat instabilis tellūs, innābilis unda,

lūcis egens āër: nullī sua forma manēbat,

obstābatque aliīs aliud, quia corpore in ūnō

frīgida pugnābant calidīs, ūmentia siccīs,

20. mollia cum dūrīs, sine pondere habentia pondus.

Traduzione

Prima del mare e delle terre emerse e del cielo, che copre ogni cosa, in natura c’era in tutto un solo aspetto, che chiamarono Caos, una massa grezza e disordinata, nient’altro che un agglomerato inattivo e allo stesso tempo un cumulo e un contrasto di elementi del mondo non bene congiunti.

Il Titano ancora non offriva le luci al mondo, né Febe riacquistava nuove fasi crescendo, né la terra pendeva nell’aria diffusa, sospesa sui suoi pesi, né Amfitrite protendeva le braccia sul lungo confine delle terre emerse, e anche se là v’erano terra e mare e aria, la terra era instabile, l’onda non navigabile, l’aria senza luce: a nulla restava la propria forma, si opponeva una cosa all’altra poiché in un solo corpo il freddo combatteva con il caldo, l’umido con il secco, il molle con il duro, il lieve con il pesante.

Srefano Busonero, Caos
Srefano Busonero, Caos

Commento

Il Caos è l’unico aspetto primordiale prima che gli dei diano forma al mondo. Aspetto, vultus, poiché si tratta del mondo sensibile ancora non ordinato dalle forme. La sua descrizione come materia informe ricorda la materia neoplatonica, emanata secondo Proclo direttamente dall’Uno, la quale ha la caratteristica di poter accogliere le forme proiettate dalla potenza trasmessa dagli enti superiori. La filosofia ha appreso dalla mitologia che il Caos è la prima caratteristica a comparire nella formazione del cosmo, come aspetto, ossia come base materiale del mondo sensibile. Ovidio, seguendo questa convenzione, parte proprio dal Caos.

Che cos’è il Caos? Possiamo eseguire un esperimento pensato. Prendiamo un qualunque oggetto e appoggiamolo su un tavolo davanti a noi. Poi mentalmente eliminiamo ogni sua qualità: il colore, la consistenza, il profumo, la forma. Ciò che ne resta, nella nostra rappresentazione, è un supporto a tutte le qualità negate, un quid informe che esiste solo per la sua esistenza, come contenitore vuoto di qualità. Le qualità potrebbero attaccarsi per brevissimi momenti, rendendone la forma assolutamente instabile. È da notare come la visione di Ovidio sia in contrasto con quella di certi movimenti magici moderni che si appoggiano sulla potenza creativa del Caos: secondo il mondo classico il Caos è inerte e passivo (nec quicquam nisi pondus iners), riceve solo e non genera nulla, ma è fondamento del mondo in quanto ne è una condizione necessaria e gli dei sono coloro che lo plasmano. Esso non ha unità né divisione, è un’infinita molteplicità, unita dall’assenza di attributi discriminanti.

Come condizione necessaria, il Caos già contiene la materia dell’universo che ancora non è ordinata (utque erat et tellūs illīc et pontus et āër). Ovidio spiega che ancora mancava l’ordine del cosmo, cominciando la descrizione poetica in negativo per farci immaginare un mondo senza in primo luogo il Titano, il Sole, che ricordiamo essere il simbolo metafisico dell’Uno e quindi del principio ordinante. Segue l’assenza di Febe, la Luna, che presiede al divenire non inteso come ribollio caotico ma come scansione regolare del tempo. Le fasi lunari sono un cambiamento regolatore sulle attività terrestri. Termina la descrizione con l’assenza di Amfitrite e del suo abbraccio affettuoso, la nereide moglie di Nettuno che rappresenta le acque che circondano le terre emerse. Le braccia tese verso i confini del mondo hanno l’azione rassicurante di delimitare lo spazio delle attività terrestri: la sensazione dell’abbraccio negato ci comunica una grande insicurezza.

Un mondo senza luce, senza tempo, senza spazio, dove niente permaneva nella sua forma (nullī sua forma manēbat).

A questo punto noi, come il poeta, abbiamo bisogno di rassicurarci, di essere certi di non vivere nel caotico incubo. Ci guardiamo intorno. Vediamo lo spazio con i suoi pianeti, il cielo con i suoi fenomeni atmosferici, una terra solida sotto i piedi, fiumi e laghi, il mare popolato da pesci. Per fortuna, un mondo meraviglioso ci circonda, con le sue leggi ed il suo ordine naturale. La domanda si genera da sola, quasi emergendo dallo stesso Caos: come si è passati dal Caos al cosmo meraviglioso che ci circonda?

Questo sarà trattato nel prossimo articolo.

Mario Basile

Fori Hadriani scripsit, ad X Kal. Dec. MMDCCLXXI

(*) la traduzione delle Metamorfosi è curata dall’autore