I Penati, a differenza dei Lari, sono le divinità onorate nel culto privato in modo esclusivo1.
I Lari, infatti, tutelano i luoghi abitati dagli uomini e gli uomini stessi, quindi i Lari di una domus tutelano tutti i membri della famiglia, schiavi compresi.
I Penati sono gli “dèi dei padri” il cui culto è trasmesso da padre in figlio2.
Infine, mentre i Lari appartenendo al luogo non possono seguire il paterfamilias nei suoi spostamenti e traslochi, i Penati lo possono3 perché appartengono alla famiglia e non al luogo.
La parola Penates è un aggettivo e sottintende il sostantivo dii. Sono gli déi del penus, che è la dispensa. Non è tuttavia pensabile che tutelassero le cibarie, ma piuttosto che vegliassero sul benessere della famiglia. “E’ probabile che penus venga inteso […] come la parte più intima […] della casa. In ogni caso la loro [i. e. dei Penati] azione si irradiava da quel centro teorico4.
In sostanza i Penati erano tutti gli dèi venerati nella casa: “omnes dei qui domi coluntur“.
Di quali dèi si trattava? Certamente di quelli il cui culto si tramandava in famiglia e di quelli particolarmente onorati dal dominus. Tra essi figuravano Giove, Apollo, Ercole, Mercurio, Génio (il Génio del paterfamilias), Vulcano, Esculapio, Bacco, Vesta, Venere, Fortuna. Nei Larari pervenutici, quasi tutti pompeiani, i Penati sono raffigurati in vario modo, quando non si tratti di statuette di piccole dimensioni.
In una delle più ricche edicole di Pompei5 il genio familiare (i. e. del dominus) è dipinto fra due Lari e davanti sono poste sei statuette: due Lari, Apollo, Esculapio, Mercurio, Ercole. In un dipinto parietale6 è riprodotto un sacrificio domestico cui prendono parte: a sinistra Giove che tende la mano destra sull’altare con frutti; a destra Venere accompagnata da Amore che regge lo specchio; in un angolo il Genio con la cornucopia in atto di libare, assistito da un camillo7; dietro un uomo che porta sulla spalla un porco – evidentemente la vittima sacrificale – seguito da due giovani che tengono aste terminanti in forma di tirso8.
Statisticamente, le raffigurazioni dei soli Penati sono prevalenti rispetto a quelle in cui compaiono il Genio e/o i Lari e i Penati.
Talvolta tra i Lari appare Vesta. “Area deorum penatium est focus” (l’ara dei Penati è il focolare)9: l’affermazione di Servio viene accolta dal Dumézil10 che la vede confermata da un rito: prima di ogni pasto, la famiglia è riunita intorno alla tavola, si mette sul focolare una scodella (patella) piena di cibo, oppure si getta una parte del contenuto nel fuoco. Tutti tacciono, finché uno schiavo – deputato all’offerta – non ritorna dichiarando che “gli déi sono soddisfatti” 11.
Agli dèi Penati si offre incenso, il che indica la loro “natura più spirituale”12 – che non quella dei Lari o dei Mani – per cui viene spontaneo il loro collegamento con Vesta, la custode del Fuoco e dei Penati di Roma, gelosamente guardati nella parte più protetta del tempio, dove neppure il Pontefice Massimo poteva entrare.
A conclusione, due sono le fole da spazzar via.
La prima riguarda Dionigi di Alicarnasso che dice d’aver visto le statue dei Penati di Roma in forma di due giovani armati di lancia e seduti. A ragione, rettifica il del Ponte13, Dionigi non poteva vedere le immagini dei Penati di Roma, a meno d’essere una Vestale (e forse la Vestale Massima); nessun’altra fonte parla dei Penati di Roma come due giovinetti.
La seconda riguarda la trovata del prof. Sabbatucci per il quale, essendo i Penati gli dèi del penus, cioè della dispensa, essi entravano nella sfera di competenza della donna romana. Affermazione non sostenuta da alcuna prova documentale.
Claudio Rutilio
(da La Cittadella n° 47, gennaio – marzo 1996)
(1) Gli stessi Penati Pubblici di Roma, che è considerata nel suo insieme come una domus delimitata dal pomerio ed avente nel tempio di Vesta il suo focus, rientrano, secondo noi, nel culto privato della comunità dei Romani. Ciò è rafforzato dal fatto che il fuoco domestico veniva rinnovato annualmente con il Fuoco di Vesta.
(2) R. del Ponte, La Religione dei Romani, Rusconi, Milano 1992, p. 71.
(3) Vedi il caso esemplare di Enea, che fuggendo da Troia porta con sé i Penati (Virgilio, Aen. II, 717): Tu genitor cape sacra manu patriosque penates (“Tu, padre, prendi gli arredi sacri ed i patrii Penati”).
(4) Dumézil, La religione romana arcaica, Rizzoli, Milano 1977, p
(5) E. De Marchi, Il culto privato di Roma antica. La religione nella vita domestica, Hoepli, Milano 1896, p. 88.
(6) Ibid., p. 93.
(7) I camilli erano giovinetti di buona famiglia, di genitori viventi, addetti al servizio dell’ara.
(8) E. De Marchi, op. cit, pp. 96-97.
(9) Servio, ad Aen. H, 215.
(10) G. Dumézil, op. cit, pp. 96-97.
(11) Servio, ad Aen. I, 730.
(12) R. del Ponte, op. cit, p. 69.
(13) Ibid., p. 92 n. 140.
(14) D. Sabbatucci, La religione di Roma antica, Il Saggiatore, Milano 1988, p. 132.