Sorpresa: l’Inno a Roma risuona al Colosseo grazie a Bocelli. Il video Rai

1280x720_1505402480505_bocelli colosseoL’Inno ha chiuso solennemente – e sorprendentemente – una serata musicale in mondovisione.

L’Inno a Roma è opera di Fausto Salvatori che lo scrisse nel 1919 come inno corale sacro per esaltare il destino eterno di Roma.

Salvatori si ispirò al Carmen Saeculare di Orazio cantato la notte del 31 maggio (Campo Marzio), 1° e 2 giugno (Campidoglio), 3 giugno (Palatino e Campidoglio) dell’anno 17 a.e.v. (736 a.U.c.) durante i Ludi secolari, voluti da Augusto per celebrare la venuta dell’Età dell’oro.

Nello stesso anno in cui Salvatori lo scrisse, il sindaco di Roma Prospero Colonna ottenne che Giacomo Puccini lo musicasse. Il brano ebbe un immenso successo; pochi anni dopo, salito al potere, Mussolini dispose che venisse suonato in tutte le manifestazioni ufficiali. Dopo il 1945 ve ne fu la damnatio memoriae (solo il Movimento sociale l’utilizzò per aprire i comizi e i congressi) e non venne mai più eseguito né istituzionalmente, né pubblicamente in circostanze neutre sino al … 15 settembre 2017.

La sorpresa di risentirlo risuonare sui Colli fatali è stata, infatti, come una ventata d’ossigeno in una nuvola di miasmi.

Eccolo chi volesse ascoltarlo: http://a.msn.com/09/it-it/AArZmX7?ocid=se

E qui a seguire i testi, sia dell’Inno a Roma, sia del Carmen Saeculare di Orazio.

 INNO A ROMA

Roma divina, a te sul Campidoglio,

dove eterno verdeggia il sacro alloro,

a te, nostra fortezza e nostro orgoglio,

ascende il coro.

Salve Dea Roma! Ti sfavilla in fronte

il Sol che nasce sulla nuova storia;

fulgida in arme, all’ultimo orizzonte

sta la Vittoria.

Sole che sorgi libero e giocondo

sul colle nostro i tuoi cavalli doma;

tu non vedrai nessuna cosa al mondo

maggior di Roma.

Per tutto il cielo è un volo di bandiere

e la face del mondo oggi è latina:

il tricolore svetta sul cantiere,

su l’officina.

Madre che doni ai popoli la legge

eterna e pura come il sol che nasce,

benedici l’aratro antico e il gregge

folto che pasce!

Sole che sorgi libero e giocondo

sul colle nostro i tuoi cavalli doma;

tu non vedrai nessuna cosa al mondo

maggior di Roma.

Benedici il riposo e la fatica

che si rinnova per virtù d’amore,

la giovinezza florida e l’antica

età che muore.

Madre di uomini e di lanosi armenti,

d’opere schiette e di pensose scuole,

tornano alle tue case i reggimenti

e sorge il sole.

Sole che sorgi libero e giocondo

sul colle nostro i tuoi cavalli doma;

tu non vedrai nessuna cosa al mondo

maggior di Roma.

CARMEN SAECULARE

Febo e delle selve potente Diana,

Ornamenti del cielo, sempre degni

Di culto, concedete al nostro inno

    Il tempo sacro,

In cui fissò la Sibilla che un coro

Di vergini elette e di casti fanciulli

Agli dei, fedeli dei sette colli,

    Il canto innalzasse.  (Inno a Roma)

Vivido sole, che in carro lucente

Porti e nascondi il giorno, e sempre uguale

E sempre nuovo sorgi, mai più grande

    Nulla ti appaia di Roma!

Tu che benigna schiudi i parti maturi

Con man lieve assisti, o Ilizia, le madri,

Sia che Lucina voglia tu esser chiamata

    Sia Genitale.

O Dea, fai crescer la progenie e dei Padri

I decreti asseconda, che propiziano

I matrimoni delle donne e nuova prole

    Con legge maritale,

Affinché il volgere di undici decenni

Del ciclo fissato conduca ancora il canto e feste

Per tre giorni lucenti ed altrettante

    Gioconde notti.

E voi Parche, veraci nel predire,

A ciò già stabilito e al saldo fine

Prescritto, con più gloria accrescete

    Destini già compiuti.

Più fertile sia il suolo e greggi e spighe

Di cui si doni a Cerere corona;

Frequenti sian le pioggie e aure salubri

    Che spirano di Giove.

Deposte frecce e pestilenze, ascolta

Questi fanciulli supplici, o Apollo;

E tu regina degli astri, ascolta,

    O Luna, le fanciulle.

Se opera vostra è Roma, se le iliache

Squadre raggiunsero il lido etrusco,

Parte ordinata a mutare Lari e città

    Con viaggio favorevole,

E a cui, traversando illesi Troia in fiamme,

Il pio Enea, superstite della patria,

Munì un libero passaggio, lui designato a dare

    Più del perduto :

O dei, costumi casti a una tranquilla gioventù,

O dei, la quiete a una serena vecchiaia,

Alle Romulee genti potenza e prole date,

    Ogni onore e gloria.

E ciò che col sacrificio di candidi buoi

Il chiaro sangue di Anchise e Venere

Da voi impetra: vincitor su chi fa guerra, clemente

    Col nemico abbattuto.

Già per mare e per terra il braccio potente

Teme il Persiano ed i fasci di Alba,

Già ambascerie inviano gli Sciti, e gli Indi

    Fino ad ora superbi.

Già Fede e Pace, Onore e Pudore

Antichi e la Virtù a lungo negletta

Osano tornare; felice riappare con ricolma

    Cornucopia l’Abbondanza.

Degli àuguri e dell’arco insigne dio,

Tu Febo, caro alle nove Camène

E che con l’arte medica ristori

    Ogni corpo malato,

Dal Palatino propizio osservando

La potenza romana e il lieto Lazio

Possa tu sempre in meglio, per lustri

    E in nuovi evi accrescere.

E anche Diana, che ha sull’Aventino

E su Còmpatri i templi, esaudisca

Quindicemvire preci e porga orecchie

    Ai voti dei fanciulli.

Questo da Giove e da tutti gli dei

Condiviso voler con fede io porto –

Coro innocente fatto edotto a dire

    Di Apollo e Diana le lodi.

Traduzione Giovanni Pollidori, saffico endecasillabo

Quinto_Orazio_FlaccoCARMEN SAECULARE (originale in latino)

Phoebe silvarumque potens Diana,

lucidum caeli decus, o colendi

semper et culti, date quae precamur

    tempore sacro,

quo Sibyllini monuere versus

virgines lectas puerosque castos

dis quibus septem placuere colles

    dicere carmen.

Alme Sol, curru nitido diem qui

promis et celas aliusque et idem

nasceris, possis nihil urbe Roma

    visere maius!

Rite maturos aperire partus

lenis, Ilithyia, tuere matres,

sive tu Lucina probas vocari

    seu Genitalis.

Diva, producas subolem patrumque

prosperes decreta super iugandis

feminis prolisque novae feraci

    lege marita,

certus undenos deciens per annos

orbis ut cantus referatque ludos

ter die claro totiensque grata

    nocte frequentes.

Vosque veraces cecinisse, Parcae,

quod semel dictum est, stabilisque rerum

terminus servet, bona iam peractis

    iungite fata.

Fertilis frugum pecorisque tellus

spicea donet Cererem corona;

nutriant fetus et aquae salubres

    et Iovis aurae.

Condito mitis placidusque telo

supplices audi pueros, Apollo;

siderum regina bicornis, audi,

    Luna, puellas.

Roma si vestrum est opus Iliaeque

litus Etruscum tenuere turmae,

iussa pars mutare Lares et urbem

    sospite cursu,

cui per ardentem sine fraude Troiam

castus Aeneas patriae superstes

liberum munivit iter, daturus

    plura relictis :

di, probos mores docili iuventae,

di, senectuti placidae quietem,

Romulae genti date remque prolemque

    et decus omne.

Quaeque vos bobus veneratur albis

clarus Anchisae Venerisque sanguis,

impetret, bellante prior, iacentem

    lenis in hostem.

Iam mari terraque manus potentes

Medus Albanasque timet secures,

iam Scythae responsa petunt, superbi

    nuper et Indi.

Iam Fides et Pax et Honos Pudorque

priscus et neglecta redire Virtus

audet, apparetque beata pleno

    Copia cornu.

Augur et fulgente decorus arcu

Phoebus acceptusque novem Camenis,

qui salutari levat arte fessos

    corporis artus,

si Palatinas videt aequus arces,

remque Romanam Latiumque felix

alterum in lustrum meliusque semper

    prorogat aevum.

Quaeque Aventinum tenet Algidumque,

quindecim Diana preces virorum

curat et votis puerorum amicas

    adplicat aures.

Haec Iovem sentire deosque cunctos

spem bonam certamque domum reporto,

doctus et Phoebi chorus et Dianae

    dicere laudes.

Paolo Casolari