Libia, da Leptis Magna un appello alla salvaguardia dei grandi siti archelogici romani

Durante il recente conflitto di Libia i giornali accusarono le truppe di Gheddafi di nascondere missili nella città romana di Leptis Magna, usandola come scudo archeologico e rischiando così i bombardamenti della Nato. Nulla di tutto questo è avvenuto, così come nessun danno hanno riportato a Sabratha e Cyrene. Le grandi città romane della Libia, dunque, non hanno “visto” la guerra.

In particolare Leptis Magna, che si trova a 130 km a sud est di Tripoli e che diede i natali all’imperatore Settimio Severo, è oggi la vestigia meglio conservata dell’intera Africa grazie alla riscoperta che ne fecero nel 1920 i “biechi colonizzatori italiani” ed al generoso lavoro di scavo che effettuarono gli archeologi, nostri compatrioti. L’area poi è stata oggetto di nuovi scavi solo a partire dal 1994: a condurli, un team inglese guidato dal libico di Misurata Hafed Walda del Kings College di Londra e finanziato da istituti accademici e di ricerca del Regno Unito. L’isolamento del paese e la recente guerra, tuttavia, avevano da tempo interrotto ogni lavoro e contatto.  

A rompere il velo è stato di nuovo Hafed che è tornato in Libia a fine conflitto per mettersi a disposizione nella salvaguardia del patrimonio culturale. Ha infatti lanciato un appello alcune settimane fa alle organizzazioni internazionali per sollecitare aiuti nella protezione dei siti. “Ci attende – ha scritto – un compito immane, che la Libia non può sopportare da sola. I maggiori problemi che ci affliggono sono la mancanza di know how e di risorse. Siamo quasi disperati per lavoro che ci attende, ma siamo anche consapevoli che se la Libia valorizzerà i suoi beni archeologici, rafforzerà la sua identità e si aprirà al mondo, visto che i siti sono un patrimonio di tutta l’umanità” .

Nel post conflitto il timore vero è l’abbandono della tutela in favore di altre priorità. L’eventualità alza il rischio di furti e saccheggi, come quello perpetrato recentemente al caveau di una banca di Bengasi ove sono stati trafugati 8.000 oggetti antichi (romani in gran parte) in oro, argento e bronzo. E i siti archeologici romani, si sa, non sono chiusi nei caveau.