Roma e la potenza magica del rito

La Romanità appartiene alla Tradizione iniziatica regale, filiazione diretta di quella Primordiale, ed è quindi di natura guerriera e finalità imperiali ed è, pertanto, variante eroica della Tradizione Unica Primordiale, proprio come lo è la Tradizione Ermetica; essa non ha, per tali evidenti ragioni, necessità spirituale di alcuna mediazione mitica, simbolica, misterica o teurgica, la sua natura secca, coagulata, asciutta, severa ed essenziale la induce ad avere ed essere una spiritualità attiva di natura pertanto magico-intensiva (Evola) che, ontologicamente, è il Sapere intorno alla sola presenza di Potenze Cosmiche, il Numen, che non sono Dei e quindi “persone”; questa è la ragione fondamentale dell’assenza di qualsiasi intermediazione tra il Se e il Numen medesimo, il contatto infatti è diretto, immediato, formulare e ritualmente necessario; tale semantema della parola “magico” (la sua radice è mag ed è la medesima del verbo mactare, termine tecnico del Sacrificio, che ha il significato di “rafforzare”, “rendere grande”) racchiude il senso dell’atteggiamento spirituale attivo, creatore ed eroico proprio del Romano, ed è così definito sia da Boehme che da Florenski come da Hegel ed Evola. Pertanto tale natura del Romano è di ascendenza Primordiale poiché quest’ultima è qualificata dall’assenza di intermediazioni tra il Divino e l’umano, atteso il fatto che essa si fonda sulla Identificazione esoterica del “Due” nell’Uno. Tale Identificazione è la essenza spirituale dell’uomo prima della Caduta e proprio la perdita di questo stato, in seguito alla Caduta, conduce alla necessità animica della mediazione quale “aiuto”, “ausilio” onde ritornare allo stato primordiale: per cui la Primordialità della natura spirituale del Romano, la sua qualità guerriera e la effettuale assenza di qualsiasi Mito cosmogonico e teogonico o di Misteri ed altro, non è assolutamente segno di inferiorità o deficienza della Spirito, come la stupidità degli interpreti moderni ha usato elucubrare ma anzi è segno massimamente probatorio della sua potente altezza arcaica e quindi divina e di una sua originaria maestà regale che lo distingue radicalmente da tutte le nature umane successive alla Caduta che sono pertanto spiritualmente deficitarie. La spiritualità eroico-guerriera romana, in forza di tali ragioni sia tradizionali che storico-religiose, non è “decaduta”, non è “sofferta”, non cerca “salvezza”, poiché è serenamente presso e nel Divino essendo a Lui aperta, come lo è l’uomo omerico e ciò si chiama Pax Deorum; talché la finalità iniziatica regale della Romanità è il Ritorno all’Età Aurea dove Saturno è Nume dell’Età dell’Oro (Latium deriva da latere = nascondere ed esso nasconde Saturno nella dimensione plumbea del medesimo!…) Età in cui il Divino e l’umano sono un’unica Realtà.

Tutto ciò è confermato, come si è già accennato, dall’idea di Divino che è propria della Romanità: il Numen che è infatti essenzialmente una pura Potenza oggettiva, cosmica e impersonale e quindi priva di volontà o desiderio, da ciò la sua arcaica aniconicità: del Numen non si hanno né immagini né riproduzioni! Da qui sorge, come nel Rito vedico, in quello omerico o nello Scinto, che sono i più arcaici e quindi più vicini ai Primordi, la finalità creatrice  del Rito in Roma: il Romano con il Rito fa la realtà fenomenica per effetto della sua Azione su quella numenica! Ciò vuol dire che il Romano crea il visibile (Res Publica = Mondo = Ius) per effetto dalla sua Ascesi dell’Azione sull’Invisibile (Fas = Ordine Divino); il Romano quindi ri-crea, ri-divinifica per mezzo del Rito la divinificazione primordiale con la quale il Dio “si fece” tale, proprio come accade nel Rito vedico (cfr. J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Roma 1969, pp. 53-4). Su ciò risiede il significato esoterico e magico del Rito romano: il popolo Romano è legato con i Numi dal Patto primordiale (Pax Deorum) e, pertanto, crea gli stessi, rinnovando ritualmente l’Evento della loro divinificazione o se si tratta di entità Nuove, con la creazione delle stesse come la fondazione di una Città o i riti di costruzione dei Templi. Sulla medesima tecnica divina è fondato anche l’altro aspetto dell’Ascesi dell’Azione: la Via guerriera romana al Sacro che è la evocazione della forza trasportante e violenta (Furor bellicus) e la sua fissazione nella qualità Marte che prelude a quella di Giove, così come avviene nel Rito giuridico-religioso e il rapporto tra Fas e Ius nella dottrina esoterica del Diritto arcaico romano. Il principio è la maestà sapienziale e magica di Roma che, mediante la Potenza dello Spirito e della Parola e della sua potenza magica, agisce nell’Invisibile poiché conosce l’Invisibile e sa che Esso crea e governa l’Ordine visibile che è la Res Publica.

Nella dimensione esoterica, tale Verità sul Rito romano che crea l’Ordine divino del Mondo, ci introduce nell’Idea della Aeternitas Romae che è il Mito che si fa storia ed è frutto dell’Azione spirituale che Roma ha esercitato nell’Animo dei Popoli e cioè nell’Invisibile onde avere gli effetti nel visibile medesimo che è l’Ecumene Elleno-Romano e la sua millenaria Civiltà, spontaneamente condivisa, amata e difesa da tutti gli sterminati Popoli dell’immenso Impero, divenuti, nei secoli, magicamente, Romani.

Pertanto nella presente Età Oscura, simile, in guisa satanicamente capovolta e parodistica, a quella Primordiale, essere “pagani” o tradizionalisti romani non può che significare Agire ritualmente nell’Invisibile e cioè nell’Animo e sull’Animo, in quello che si può definire Rito iniziatico interiore, in cui il Fuoco di Vesta è il calore ascetico e l’offerta sacrificale è il corpo stesso dell’Asceta, dove il fumo dell’arsione delle carni, sull’Ara della Vita, sale in Alto, nell’Animo e nel Cielo, in Onore e nutrimento dei Numi, interni ed esterni, encosmici ed ipercosmici, in un Sacrum facere (sacrificio) di natura eroico-guerriera e quindi romana.

Giandomenico Casalino